Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2020
Biografia di Carlos Kleiber
Nell’adolescenza, dopo la guerra, ci eravamo subito imbattuti negli inevitabili Toscanini, Furtwängler e Karajan (questo, udito da noi a Trieste nel Deutsches Requiem di Brahms), e poi in Knappertsbusch, Klemperer, Böhm, e, appunto, in Kleiber. Ma era un “altro” Kleiber: Erich, il padre, nato a Vienna martedì 5 agosto 1890, morto a Zurigo venerdì 27 gennaio 1956, proprio nel giorno del duecentesimo compleanno di Mozart.
Severo carattere, nobile carriera, studi compiuti a Praga e lungo l’affinamento professionale a Darmstadt, Barmen-Elberfeld, Düsseldorf, fino a Berlino. Erich Kleiber ebbe due figli. Prima, Veronica, nata a Berlino mercoledì 28 marzo 1928, irrequieta e girovaga. Erich, non ebreo, abbandonò la Germania inorridito dalla politica razziale di Hitler. Veronica lo imitò, trasferendosi nel 1939 in Argentina, dove divenne la compagna del fisico italiano Andrea Levialdi. Visse anche a Cuba, instaurando rapporti di simpatia e di politico consenso con “Che” Guevara. Poi si spostò in Italia, a Messina, a Parma. Nel 1975 approdò a Milano, dove fu accolta dalla famiglia Abbado e visse nella loro casa, ponendo la propria multiforme esperienza culturale (padroneggiava cinque lingue) a disposizione di Claudio Abbado come eccezionale segretaria. Il celebre fratello la chiamava, in inglese, Peach (Pesca). Dal 1994 fu ospite di Casa Verdi, nell’edificio progettati da Camillo Boito, e anche esercitò in grande stile il suo amore sconfinato per i gatti. Chi scrive queste righe, allora e per trent’anni consigliere d’amministrazione di quell’ente, e non meno amante sfrenato dei felini, ebbe il piacere di vederla spesso. Veronica è morta per ictus nell’ospedale San Paolo di Milano giovedì 6 aprile 2017. Per testamento, donò la sua biblioteca di poco più di 1000 libri e di ricco e raro materiale discografico al Liceo “Daniele Crespi” di Busto Arsizio, e là, lunedì 1 aprile 2019, ebbe luogo la cerimonia di consegna.
Infine, di due anni più giovane, Karl Ludwig Kleiber, che più tardi avrebbe scelto di chiamarsi “Carlos” dopo un soggiorno sudamericano. Nato a Berlino giovedì 3 luglio 1930, morto a Konjšica in Slovenia martedì 13 luglio 2004, Karl non era affatto, in famiglia, predestinato ad essere musicista e tanto meno Kapellmeister. Ruth, sua madre, non lo immaginava, e suo padre Erich lo escludeva a priori. Sperava che il figlio dedicasse la vita allo studio della chimica, ed è nota la sua perentoria sentenza: «Un solo Kleiber direttore d’orchestra è sufficiente!». Perciò la carriera artistica di Carlos Kleiber fu, insieme, un po’ ritardata ma folgorante, e la sua fama, fondata su poche presenze pubbliche, su pochi titoli sinfonici e operistici, su un esiguo lascito discografico, si è sviluppata rapidamente tra gli estremi della rabbiosa stroncatura (da lui ricambiata con gli interessi e con tremendo sorridente sarcasmo) e dell’estatica divinizzazione.
Il suo esordio alla Scala fu nel 1976, ed egli aveva 46 anni. A Milano diresse un meraviglioso, indicibile, indimenticabile Rosenkavalier. Chi, come noi, ha avuto la fortuna di ascoltare Kleiber e di vederlo, ossia di vedere lui e il suo volto non soltanto il sublime spettacolo in scena, pensa sempre a quella circostanza come a un laico, ellenico, hölderliniano, apollineo e insieme saturnino preannuncio di eternità. Lo stesso si dica della sua Fledermaus. Coincidenze da brivido: l’apparizione del genio tra uno Strauss e uno Strauß.
Rarissimamente, Carlos Kleiber rispondeva alle lettere degli ammiratori. Charles Barber, direttore d’orchestra e oggi direttore artistico del City Opera di Vancouver, gode di una fortuna sfacciata. Quando Carlos Kleiber ricevette la sua richiesta di reciproca conoscenza, aveva lasciato la sferza sul comodino: incredibilmente, rispose, accettò, probabilmente sorrise. Scusate l’abuso di una metafora, ma la biografia costruita da Barber (Corresponding with Carlos, Rowman & Littlefield, Lanham in Maryland, 2011) procede a gonfie vele poiché la sospinge il vento di quel primo, sorridente contatto. A leggerla, ci cattura come una Wunderkammer, ma, oltre che “…delle meraviglie” è anche una “camera delle cattiverie”, le quali non sono machete né affilati coltelli da cucina, ma sottilissimi spilloni, e (Lucifero ci aiuti!) quanto crudelmente pungono il midollo del nervo! A proposito: l’ultimo concerto della sua carriera Carlos Kleiber lo diresse a Cagliari, con l’orchestra del Bayerischer Rundfunk, mercoledì 24 e venerdì 26 febbraio 1999. La circostanza storica custodisce qualcosa che nel bellissimo lavoro di Charles Barber è descritto alla lontana ma non precisato nei suoi dettagli più scottanti. Ci riferiamo al compenso che Kleiber ricevette da Mauro Meli, sovrintendete del Teatro Lirico di Cagliari, e all’intervento del magistrato Renato Caccamo. Barber ci guida là vicino, vicinissimo… Ma Carlos Kleiber è lontanissimo, eis aióna.