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 2020  dicembre 27 Domenica calendario

Intervista al ciclista Filippo Ganna

Per Filippo Ganna è stato un anno straordinario. A Imola ha conquistato il Mondiale a cronometro, primo azzurro nella storia, poi al Giro d’Italia ha vinto 4 tappe (con l’en plein nelle 3 cronometro) e vestito per due giorni la maglia rosa. Una stagione esaltante, nonostante il Covid, che a febbraio era iniziata con un’altra maglia iridata, nell’inseguimento su pista a Berlino (4º titolo assoluto) con tanto di record mondiale. E il bottino sarebbe stato anche più pingue se il coronavirus non gli avesse impedito di partecipare agli Europei su pista di Plovdiv, in Bulgaria. Una stagione trionfale per il 24enne piemontese di Vignone, vicino a Verbania.
Ganna, intanto come si sente dopo essere stato contagiato dal Covid-19 a novembre?
«Ora meglio, per fortuna l’ho preso in modo lieve e ho già ricominciato ad allenarmi anche se mi sento spesso stanco e faccio molta fatica. Ma ci sta, sono stato anche fortunato. Mi spiace di aver portato il contagio in famiglia, mio padre ci ha lottato per oltre un mese, senza sentire sapori né odori».
Che anno è stato il 2020?
«Beh, per me è andato molto bene. Ho rivinto il Mondiale di inseguimento, poi la cronometro iridata e al Giro ho vestito la maglia rosa con la crono di apertura. Ma non mi sarei mai aspettato la fuga e la vittoria solitaria di Camigliatello Silano in una tappa di montagna».
Quel giorno lei è "entrato" nella case degli italiani...
«Ho fatto il mio lavoro, ma sono contento che adesso la gente mi riconosca e di poter essere un esempio per i ragazzini».
La sua vita è cambiata?
«Ho sempre una testa, due gambe e due braccia, però ora sono più consapevole delle mie capacità e ammetto che in tanti mi cercano, mi fermano, mi vogliono, anche troppo. Gli impegni non agonistici sono diventati tantissimi, spesso non ce la faccio più. Però mi piace l’idea di entrare nella storia, pensare che un giorno qualcuno vorrà battere Ganna e alimentare i sogni dei ragazzi».
Il Giro per lei è stato come una consacrazione?
«Mah, direi che è stata soprattutto una bella sfacchinata! Ma ne valeva la pena».
Crede un giorno di poter vincere una grande corsa a tappe?
«Con 192 cm e 82 kg è difficile e per ora sicuramente no. In futuro chissà, anche se mi sembra difficile diventare più magro e asciutto di com’ero due mesi fa alla fine del Giro».
I suoi obiettivi per il 2021?
«Tanti. Le Olimpiadi, naturalmente, ma prima con il quartetto su pista, perché lo devo ai miei compagni, poi eventualmente nella crono su strada».
E la Parigi-Roubaix, che lei ha già vinto da Under 23?
«Prima o poi la riproverò. Nel 2021 in teoria è nel mio programma, ma non so se rischiarla in un anno olimpico, perché è una corsa molto pericolosa, come buttarsi nel fuoco. E puoi farti anche molto male».
Dicono che lei sia fra i pochi in grado di battere il record dell’ora: ci pensa?
«Sì, ma vedremo a fine stagione come starò. Se ne avrò ancora, magari ci proveremo».
Che effetto le fa essere considerato il numero 1 dello sport italiano per il 2020?
«È bello, sono contento che qualcuno abbia scelto me. Ho lavorato tanto per arrivare fin qui anche se non mi monto la testa. Sono sempre lo stesso».
E pensare che lei da ragazzo arrivò alla bici per caso...
«Nessuno in famiglia aveva fatto ciclismo. Papà era stato azzurro nella canoa alle Olimpiadi 1984 e cercò di mettere in barca anche me. Niente da fare, però. Provai basket e volley, poi fu decisiva una gara di ciclocross a Vignone, il mio paese. Provai anch’io e da allora non ho più smesso».
Suo padre ne fu deluso?
«No. In fondo lo sforzo di canoisti e cronomen del ciclismo è simile. Papà mi ha trasmesso i suoi geni ma sono finiti negli arti inferiori anziché nelle braccia. Io remo con le gambe».
Perché lo chiama "tedesco"?
«Perché con puntiglio e costanza mi ha insegnato la determinazione e lo spirito di sacrificio, facendomi salire l’ultimo gradino, quello in cui più dei muscoli conta la testa».
Per il ciclismo lei ha lasciato anche gli studi, l’istituto informatico, al 4° anno: pentito?
«Una scelta obbligata, perché i professori mi punivano per le tante assenze. In Italia lo sport è considerato un ostacolo per la scuola, mentre all’estero è spesso un valore aggiunto. Ma prima o poi vorrei finire gli studi e prendere un diploma».
Nel 2021 ci saranno le Olimpiadi, o almeno così si spera: che ne dice di candidarsi a portabandiera azzurro?
«Tanti altri atleti lo meritano molto più di me. Però se il Coni me lo chiedesse...».