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 2020  dicembre 27 Domenica calendario

Intervista al direttore d’orchestra Alvise Casellati

Il direttore d’orchestra Alvise Casellati è nato a Padova nel 1973. È ideatore e direttore musicale di Opera Italiana is in the Air un evento all’aperto gratuito che ha debuttato a Central Park, New York.
È vero che la musica fa parte del DNA della sua famiglia?
«Sì, Rossini presentò mio bisnonno come compositore onorario della Reale Accademia Filarmonica di Bologna, di cui Mozart voleva far parte. Da bambino sentivo mia nonna suonare il piano e mio nonno scaldarsi le mani con Paganini. Tutti in famiglia avevano un diploma al Conservatorio e ci incontravamo per suonare insieme nei week end. Era quasi un’orchestra!»
Come è cresciuto in questa tradizione musicale?
«Mio padre mi ha insegnato a suonare il piano a sei anni. Voleva che suonassi il violino come suo padre. Ho studiato al Conservatorio di Padova dai 10 ai 21 anni e ho un diploma in violino, allo stesso tempo ho frequentato medie, superiori e giurisprudenza. Sono andato a Vienna a studiare direzione d’orchestra mentre scrivevo la tesi, poi a New York dove lavoravo come avvocato, ma il motivo vero del soggiorno era la Foundation for Italian Art and Culture, che rappresentava per me un ponte tra la mia professione e le arti».
Ma poi ha avuto una grave malattia. Cosa è cambiato?
«Avevo 34 anni. In ospedale mi sono reso conto che se fossi morto quel giorno, il mio più grande rimpianto sarebbe stato non avere avuto il coraggio di dedicarmi alla musica e farne la missione della mia vita. Vivevo senza rimpianti, ma questo episodio mi ha aperto la mente: avevo detto a un insegnante di direzione alla Juilliard School of Music che non avevo tempo di andare alle sue lezioni. L’ho chiamato dall’ospedale e gli ho detto: "Maestro. Adesso ho tempo". Perché quando vuoi davvero qualcosa, il tempo lo trovi ».
Come ha deciso di diventare un direttore d’orchestra?
«Ero un bravo violinista, ma fare il solista non mi interessava. La direzione d’orchestra soddisfa ogni singola parte di me, personalità, sentimenti, emozioni. Pensavo che sarei diventato direttore d’orchestra quando avrei smesso di lavorare, ma in ospedale quel giorno ho capito che nessuno poteva garantirmi che sarei diventato vecchio. Siamo tutti appesi a un filo sottile, oggi ci siamo, domani chissà. Non c’è tempo da perdere per seguire i sogni».
Come ha iniziato?
«Al Teatro La Fenice di Venezia avevano sentito parlare di questo avvocato direttore d’orchestra a New York e mi hanno dato l’opportunità di dirigere il concerto per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, nel 2011: c’erano brani dal Nabucco e dai Lombardi alla prima crociata, ho diretto a memoria per un’ora, c’erano i giornali, la tv, è stato uno dei momenti più stressanti della mia vita. Ma ci sono riuscito e mi sono detto: "OK, posso farcela". Certo il percorso verso la perfezione è difficile, perché più vai avanti, più è lontana. Sul palco sono il maestro, quando scendo sono uno studente».
Nel 2014 è diventato direttore residente del Teatro Carlo Felice di Genova.
« È stato il mio debutto nell’opera, un mondo che presenta diverse sfide e complicazioni. Lavorare con un regista, con cantanti sul palco, avere il coro lontano da te, mettere insieme le cose e farle funzionare, richiede molta esperienza. Da avvocato avevo imparato a distinguere tra questioni importanti e minori, e a concentrarmi sulle prime. L’opera è una magia difficile da spiegare».
Come ci si guadagna il rispetto dell’orchestra?
«Nasce dallo studio, dall’esperienza e dall’aver ben chiaro cosa vuoi. Il direttore d’orchestra è fondamentalmente il regista in un film, ma davanti alla telecamera. La cosa più importante è avere un’idea precisa di come si legge la musica in base a ciò che ha scritto il compositore. Devi trasmetterla ai musicisti e fare in modo che la condividano con te, e lavorino per lo stesso obiettivo».
Perché ha creato "Opera Italiana is in the Air" con la FIAC a New York nel 2016?
«Perché l’opera è stata scritta come musica pop e pensata per raggiungere tutti. Ora è considerata una nicchia per un’élite. Questo non è vero, non è la missione dell’opera. Volevo dare alle persone l’opportunità di conoscerla all’aria aperta, fuori dal teatro, che a volte intimidisce. Il prossimo appuntamento dovrebbe essere a Central Park il 28 giugno, in futuro in Italia e in tutta Europa, si spera anche a Londra».
Ha un’opera preferita?
«Puccini riesce sempre a trafiggermi il cuore, e l’opera dei miei nonni materni era Tosca. Mio nonno era nella Resistenza e fu condannato a morte, il 24 dicembre 1944. Non fu mai giustiziato per fortuna, e fu liberato dagli americani il 25 aprile 1945. Durante questo periodo i miei nonni comunicavano come nella Tosca, lei gli mandava delle lettere tramite una guardia in prigione, e Tosca era il codice della loro conversazione».
Ama la sua professione?
«È un lavoro così difficile che devi dedicargli ogni secondo della giornata. Se non lo ami, non puoi farlo. Devi amarlo molto perché il sacrificio abbia senso».
(traduzione di Carla Reschia)