Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  dicembre 27 Domenica calendario

Il museo in rosso vende un Banksy

«È un miracolo», gioisce Kim Logchies-Prins, co-fondatrice con il marito Lionel del “Moco”, il museo di arte moderna, contemporanea e “street” nel Museumplein, la rinomata spianata dei musei di Amsterdam che ospita anche quello di Van Gogh e il Rijkmuseum. «Eppure gli avevamo già detto addio insieme a tutto il nostro staff», racconta al Guardian Kim Logchies- Prins, «e tutti avevano apprezzato il nostro gesto. Ci eravamo seduti intorno e quasi lo avevamo ringraziato per tutti questi anni insieme. E invece…». E invece “lui” è tornato. Ma non è una storia lazzaresca, né il romanzo di Timur Vermes e nemmeno una resurrezione. Bensì il ritorno al Moco del Monkey Poison, ossia l’avvelenamento della scimmietta protagonista di quest’opera di Banksy, il più celebre e misterioso degli “street artist”. Monkey Poison è tornato ad Amsterdam perché il suo ricchissimo, e anch’egli anonimo, compratore americano, ha deciso di riprestarlo al Moco. «E per almeno un anno, ci è stato assicurato», esulta Logchies-Prins sul quotidiano britannico.
Una storia a lieto fine, chissà per quanto. Perché i Logchies-Prins avevano dovuto vendere quel dipinto dell’artista inglese all’asta a New York per circa 1,7 milioni di euro, poiché il Moco era sul lastrico a causa della pandemia da Coronavirus: «A inizio marzo-aprile scorsi», anche grazie ai sussidi del governo olandese, «ce l’eravamo cavata. Ma poi, col passare dei mesi, non avevamo più risorse. Allora dovevamo scegliere», ricorda Kim, «licenziare parte dei nostri 60 dipendenti, oppure vendere una delle nostre migliori opere». Ovvero Monkey Poison, «una delle opere più importanti di Bansky», ricorda Logchies- Prins, «per quella tecnica che lui stesso chiama “crude oil”», ossia un soggetto di Banksy dipinto su un quadro tradizionale, in questocaso un idilliaco paesaggio bucolico del XIX secolo. Che ora però è di nuovo ad Amsterdam per la generosità del nuovo proprietario e per la gioia di fondatori e dipendenti del Moco.
Ma nell’era Covid può andare peggio per musei e istituzioni culturali. La Royal Opera House di Londra potrebbe dire addio a un capolavoro che ospita nelle sue stanze, il Ritratto di Sir David Webster di David Hockney. E la Royal Academy potrebbe fare lo stesso con il Tondo Taddei, bassorilievo marmoreo di Michelangelo. Almeno in Inghilterra, il governo ha stanziato oltre un miliardo e mezzo di euro per salvare la cultura. Basteranno?