Corriere della Sera, 27 dicembre 2020
Gattuso e la miastenia
C’è di peggio nella vita: Gattuso ripete questa frase come fosse un mantra. Lo fa per se stesso, ed è un modo per esorcizzare la paura inevitabile, ma anche per la squadra, spiazzata dalla sua malattia ricomparsa all’improvviso e crollata nella testa e nelle gambe. Molti dei calciatori del Napoli non sapevano neanche cosa fosse, la miastenia oculare. In pochi ricordavano che Gattuso ne soffre da dieci anni. Nessuno ha la percezione immediata di quanta sofferenza possa provocare.
Alla vigilia della sfida di Europa League con la Real Sociedad, l’allenatore abituato a vivere e lavorare col cuore ha iniziato ad avvertire i primi sintomi. E ha creduto che bastasse riprendere in maniera rigorosa la cura di cortisone per non rivivere l’incubo. Sapeva di aver trascurato il nemico invisibile, si era illuso però che la tregua stavolta durasse. Per un po’ si è sforzato, ha dissimulato. Ha anche finto di star bene, senza abbandonare la nave in acque già poco tranquille. Ma quando il suo vice Giuseppe Riccio, dopo la partita europea che ha decretato il passaggio del turno, si è presentato davanti alle telecamere e ha spiegato l’indisponibilità dell’allenatore, la malattia è diventata di dominio pubblico. Fuori e dentro lo spogliatoio. Ed è deflagrata, in tutti i sensi.
Contro l’Inter a Milano Gattuso è andato in panchina con una vistosa benda sull’occhio destro. Alla squadra ha spiegato ogni cosa, ma non ha chiesto comprensione. Il vittimismo non è nelle sue corde, Rino va in battaglia sempre e comunque. Con grinta e con coraggio, anche con un occhio solo. Convinto che il suo piccolo-grande esercito fosse pronto senza di lui, che facesse addirittura meglio.
Da San Siro invece esce sconfitto, dopo quattro giorni a Roma altro kappaò con la Lazio. Sta male, Gattuso. Forse anche peggio della prima volta: aveva 34 anni e durante Milan-Lazio iniziò a vedere doppio. All’Olimpico, nell’intervallo, trova la forza per ribaltare la sua squadra che sta giocando male. Lui in panchina con un occhio in meno, loro in campo senz’anima. Neanche si regge in piedi, lo sforzo enorme a cui sottopone l’occhio «buono» per guardare nella stessa direzione gli ha provocato problemi di postura.
Dolori alla schiena e alla cervicale, i medici dello staff gli consigliano di non tornare in campo nel secondo tempo. Lui ci va. Resta seduto ma continua a urlare: molli, siete molli. Finisce male. Manda la squadra in ritiro, sapendo che lui per un giorno non potrà esserci. È la sua prima assenza in un anno, i medici dell’ospedale di Siena che lo tengono in cura gliel’hanno ordinato: niente stress, niente freddo. Riposo.
Tre giorni dopo altra brutta prova contro il Torino. Due sconfitte e un pareggio nelle ultime tre: crisi di gioco, di identità e risultati. Ora la squadra è depressa: non ha saputo sostenerlo. Gattuso non abbandona il timone, si mette a nudo davanti alle telecamere: parla della malattia, assolve i giocatori («da un mese non sono più me stesso e loro ne hanno risentito») e fa un appello ai ragazzini: «Se soffrite perché non vi vedete belli allo specchio, sappiate che la vita è bella e bisogna affrontarla senza nascondersi».
Ci mette ancora una volta la sua faccia, anche se malata. Sorride nonostante la sofferenza. Rino resta sulla nave e per non affondare sposta l’attenzione, dribbla l’onda gigante. Tenta il salvataggio della squadra. E allontana la paura: nella vita c’è di peggio.