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 2020  dicembre 27 Domenica calendario

In morte di George Blake

Paolo Valentino, Corriere della Sera
È morto a Mosca, la città dove viveva da oltre mezzo secolo, pochi giorni dopo John Le Carrè. Come se un filo esistenziale legasse lo scrittore che meglio di tutti ha raccontato il mondo delle spie nella Guerra Fredda e la talpa che insieme ad altre lo ispirò. Aveva 98 anni George Blake, l’agente segreto britannico che per nove anni ingannò l’MI6, facendo il doppio gioco con l’Unione Sovietica e portando all’arresto di almeno 42 informatori dell’Est che lavoravano per i servizi occidentali. La sua scomparsa è stata annunciata dall’Svr, l’intelligence esterna della Federazione russa erede del Kgb.
Anche Putin ha espresso le sue condoglianze, salutando Blake come un «brillante professionista» e uomo di «coraggio rimarchevole», che ha dato «un contributo inestimabile ad assicurare la parità strategica e preservare la pace». Con George Blake se ne va l’ultimo esponente di una celebre dinastia di spie britanniche, che lavorarono in segreto per il Cremlino e il cui tradimento fece tremare e umiliò il mondo dell’intelligence occidentale al culmine della Guerra Fredda. Ma a differenza dei famosi «Cambridge Five», i cinque ex studenti della prestigiosa università che passarono armi e bagagli al servizio del regime comunista di Mosca, Blake, anche lui studente a Cambridge, non fu mai parte del loro mondo né dell’establishment britannico. Di due di loro tuttavia, Kim Philby e Donald MacLean, anch’essi scappati a Mosca dopo essere stati scoperti, era diventato negli anni amico e frequentatore.
Smascherato nel 1961, Blake era stato processato e condannato a 42 anni di carcere, uno per ogni agente tradito. Ma nel 1966 fu protagonista di una clamorosa fuga dalla prigione londinese di Wormwood Scrubs, grazie all’aiuto di alcuni attivisti pacifisti, per un breve periodo suoi compagni di cella. Solo dopo alcuni mesi riuscì a passare, nascosto in una cassa di legno, la Cortina di Ferro e arrivare a Mosca, lasciandosi dietro una moglie e tre figli. Da quel momento, parole sue del 2017, la Russia divenne la sua «seconda patria».
Blake era nato nel 1922 in Olanda, suo padre era un ebreo spagnolo che aveva combattuto nell’esercito inglese durante la Grande Guerra ed era diventato cittadino britannico. All’età di 18 anni, dopo l’invasione nazista della Polonia, si era unito alla resistenza olandese e in piena Seconda Guerra Mondiale era entrato nella riserva della Royal Navy, dove il suo background poliglotta lo aveva subito segnalato come candidato ideale per l’intelligence: cominciò traducendo dall’olandese i messaggi dei resistenti per i comandi alleati.
Finito il conflitto, dopo aver spiato i sovietici nella Germania dell’Est e aver imparato il russo a Cambridge, Blake venne inviato in Corea del Sud. Fu in Estremo Oriente che le sue simpatie per il comunismo presero forma concreta: «Di fronte ai bombardamenti americani sulla popolazione civile, decisi di cooperare con l’intelligence sovietica».
Da agente doppiogiochista, Blake passò a Mosca segreti importanti, non ultimo un piano occidentale per ascoltare le comunicazioni sovietiche scavando un tunnel sotto Berlino Est. Ma ha sempre negato che qualcuno degli uomini da lui traditi sia stato giustiziato: «Questo non mi fu contestato al processo a Londra e io lo avevo posto come condizione al momento del passaggio in Urss», disse una volta in una conferenza stampa.
C’era un ambiguo candore nella sorda ostinazione di questo maestro di spionaggio, sempre vestito di tweed con un farfallino al posto della cravatta, bon vivant che riceveva volentieri nel suo appartamento. Il comunismo per lui era quasi un’entità metafisica: «Chiunque creda nell’Aldilà mi faccia un esempio di come sarà la vita laggiù: non farete altro che descrivermi una società comunista», mi disse in un’intervista nel 1992 a Mosca. La sua analisi del crollo dell’Urss e del fallimento dell’esperimento sovietico non incolpava il modello, ma gli uomini cui ne era toccata in sorte la gestione: «Perché il comunismo possa avere successo occorre gente di altissima integrità morale, capace di mettere gli interessi generali al primo posto». La sua conclusione era autoconsolatoria: «Noi non siamo abbastanza maturi per poter costruire una società comunista». Requiem per una spia che andò verso il freddo.

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Vittorio Sabadin, La Stampa 
George Blake, la spia britannica passata ai sovietici che ha fatto più danni all’Occidente, è morto a Mosca all’età di 98 anni. Lo avevano trasferito in una dacia fuori città per proteggerlo dal Covid, ma lo ha ucciso la vecchiaia. I giornali inglesi, nel darne notizia, hanno usato la parola traditore, ma Blake non si sentiva tale: «Non è mai sbagliato - diceva - dare la propria vita a un nobile ideale. E anche a un nobile esperimento, anche se non ha successo». E poi non si era mai sentito davvero britannico, quindi pensava di non avere tradito nessuno.
Alfred Hitchcock aveva progettato di girare un film ispirato dalla sua vita, ma non riuscì a farlo. La storia di Blake è così piena di avventure, di rischio, di sorprese, di fughe e di imprevisti, che sembra impossibile sia riuscito a vivere così a lungo, sempre in buona salute e privo di rimorsi. Era nato in Olanda, figlio di un ebreo turco che di cognome faceva Behar, un eroe della Prima guerra mondiale. Ispirato dal padre, il giovane George si fece onore nella Seconda, come portaordini dei partigiani. Catturato e rilasciato, fuggì attraverso Belgio, Francia, Spagna e Gibilterra per raggiungere la madre a Londra, che nel frattempo aveva cambiato il cognome in Blake.
Si era arruolato nella Royal Navy, dove l’MI6 cercava i suoi agenti. Lo tennero un po’ a Londra, poi nel 1946 lo mandarono ad Amburgo a interrogare i capitani tedeschi degli U-boot. Gli fecero studiare il russo a Cambridge e lo spedirono all’ambasciata britannica di Seul, a spiare da lì Corea del Nord, Cina e Urss. Fu tra i primi catturati dai nordcoreani quando arrivarono in città allo scoppio della guerra. Restò in prigione tre anni ed ebbe così tutto il tempo di leggere Il Capitale di Marx, il libro che gli cambiò la vita. Disse anche che i bombardamenti americani sui villaggi nordcoreani erano così selvaggi da fargli provare vergogna per l’appartenenza «a questi prepotenti Paesi tecnicamente superiori che lottano contro quelle che mi sembravano persone indifese. Sentivo di essere dalla parte sbagliata».
Dalla prigione entrò in contatto con il Kgb, cui non sembrava vero avere trovato un «inglese» così votato alla causa. Liberato nel 1953, Blake tornò a Londra come un eroe, e fu subito mandato dove c’era più bisogno di spie: Berlino. Per dieci anni, l’agente del MI6 fece indisturbato il doppio gioco, reclutando agenti sovietici per l’Occidente e passando a Mosca informazioni preziose. Il suo nome in codice nel Kgb era «Diomid», ed era così protetto che nemmeno il capo dell’ufficio di Londra conosceva la sua attività. Negli anni di Berlino, Blake ha smantellato l’intera rete delle spie occidentali nella Germania dell’Est e il suo colpo più clamoroso fu certamente la rivelazione al Kgb dell’esistenza del tunnel, scavato da americani e britannici, dal quale venivano intercettate le comunicazioni dei sovietici.
Blake fu scoperto solo nel 1961, grazie alla segnalazione di una spia polacca. Arrestato, confessò tutto con orgoglio e fu condannato a 42 anni, uno per ogni agente britannico di cui aveva causato la morte, si disse allora. Ma probabilmente furono molti di più: sembra che siano stati almeno 600 gli agenti occidentali arrestati dai sovietici su sua segnalazione. Nella prigione di Wormwood Scrubs, a Ovest di Londra, rimase molto poco. Grazie a complici interni ed esterni, riuscì a fuggire nel 1966, mentre guardie e detenuti guardavano la finale dei Mondiali di calcio vinta dall’Inghilterra. Uscì da una finestra del corridoio, gli lanciarono una scala di corda dal muro ed era fuori. Passò la Manica su un container, poi arrivò oltre la Cortina di Ferro, chi dice guidando lui stesso l’auto, chi in una cassa legata al fondo della vettura. A Mosca lo accolsero con grande gioia ed ebbe modo di conoscere Kim Philby e Donald Maclean, due dei «Cinque di Cambridge» che come lui avevano fatto il doppio gioco. Gli conferirono l’Ordine di Lenin e l’Ordine della Bandiera Rossa. Nel 2017, al compimento dell’85° anno, arrivò anche l’Ordine dell’Amicizia, appuntato al petto da un suo ex collega del Kgb, Vladimir Putin.