Corriere della Sera, 27 dicembre 2020
I dispetti di Polonia e Ungheria:
Nello scorso novembre due membri dell’Unione Europea hanno impedito, con un uso improprio del diritto di veto, l’approvazione del bilancio della istituzione a cui appartengono. Se qualche settimana dopo, grazie a un intervento della cancelliera tedesca, la Polonia e l’Ungheria non avessero fatto un passo indietro, l’Ue sarebbe stata finanziariamente impotente. Non credo che questa vicenda possa essere archiviata come un semplice incidente di percorso. Dopo avere approvato alcune leggi punitive e illiberali contro la loro magistratura i governi della Polonia e dell’Ungheria non hanno esitato a paralizzare l’istituzione supernazionale in cui erano stati generosamente ammessi nel 2004. Hanno il diritto di continuare a farne parte?
La storia comincia con la disintegrazione dello Stato sovietico nel 1991. Occupate dall’Armata Rossa negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, Polonia e Ungheria, come altri Paesi dell’Europa centro-orientale, ebbero governi comunisti, firmarono nel 1955 il Patto di Varsavia (una Nato comunista) e divennero, anche se di malavoglia, satelliti dell’Unione Sovietica.
Quando la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la disintegrazione dell’Urss nel 1991 li liberò da quelle condizioni, avevano due fondamentali esigenze: lo sviluppo economico e la sicurezza. Trovarono la prima a Bruxelles, nei principi e nell’assistenza della Comunità Economica Europea (come l’Ue si chiamava allora) e la seconda nella Nato sotto le ali protettrici degli Stati Uniti (un Paese in cui la popolazione di origine polacca conta 9 milioni e mezzo di persone). Da allora i due Paesi (ma soprattutto la Polonia) sono molto più satelliti degli Stati Uniti di quanto siano membri dell’Unione Europea. Quando visitò Varsavia nel giugno del 2017, Donald Trump lusingò i padroni di casa con alcune affermazioni anti-russe ed ebbe una accoglienza imperiale. Non è sorprendente che quando l’Unione Europea ha manifestato il suo malumore per il modo in cui trattava i propri magistrati, la Polonia abbia dimostrato quanto siano fragili i suoi legami con l’Unione Europea. Dopo la fondazione del partito Diritto e Giustizia nel 2001 e l’apparizione sulla scena politica polacca dei gemelli Jaroslav e Lech Kaczynski, la Polonia ha un regime autoritario, nazional-populista, bigotto, instancabile cacciatore di ex comunisti che appartengono ormai a un regime defunto, insensibile ai valori e alle speranze dell’integrazione europea. Verrà certamente il giorno in cui la Polonia diverrà nuovamente quella che abbiamo amato e ammirato, il Paese dei soldati che hanno combattuto a Cassino, come il generale Anders e Gustav Herling amico di Benedetto Croce o, più recentemente, Lech Walesa fondatore di Solidarnosc, Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo dal 2014 al 2019. Fino ad allora la Polonia non potrà essere, se non formalmente, un membro dell’Unione Europea.