Corriere della Sera, 27 dicembre 2020
Brexit, 1.246 pagine di divorzio
Milleduecentoquarantasei pagine di minuzie legali per formalizzare il divorzio della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Londra e Bruxelles hanno pubblicato ieri il testo dell’accordo sulla Brexit raggiunto la vigilia di Natale: e Boris Johnson, pur riconoscendo che «il diavolo sta nei dettagli», ha assicurato che il trattato supererà lo «scrutinio talmudico» (un riferimento all’esegesi della legge ebraica) delle più occhiute «aquile legali».
Perché adesso restano solo pochi giorni per l’approvazione definitiva da parte dei parlamenti di Westminster e di Strasburgo: e sarà un compito arduo, per i deputati da entrambe le parti, digerire tutto il malloppo (cui si aggiungono altri accordi sul nucleare e sullo scambio di dati sensibili, oltre a una serie di allegati specifici). A Londra ci sarà una seduta straordinaria della Camera dei Comuni il 30 dicembre, mentre l’Europarlamento si prenderà un po’ più di tempo: questo vuol dire che il 1° gennaio scatterà l’applicazione in via provvisoria dell’accordo, dato che alla mezzanotte del 31 dicembre la Gran Bretagna uscirà definitivamente dal mercato unico e dall’unione doganale. Ma non ci si aspettano sorprese e il testo otterrà il via libera, soprattutto perché a Londra anche i brexitiani più assatanati lo hanno accolto con favore.
Infatti Boris ha portato a casa quella vittoria che era sfuggita a Theresa May e che le era costata la poltrona. Ovvio, sia i britannici che gli europei proclamano di aver avuto la meglio: ma in realtà Johnson ha ragione quando afferma di aver rispettato tutte le sue «linee rosse».
Il risultato più importante ottenuto è che continuerà il libero commercio, dunque non verranno introdotti dazi e quote sulle merci: pertanto la Gran Bretagna conserva l’accesso al mercato europeo, pur uscendo dall’Unione politica. Tornano tuttavia i controlli doganali, quindi ci saranno molta più burocrazia e scartoffie, che indubbiamente appesantiranno il tutto.
Ma Johnson ha ottenuto il premio più importante della Brexit, ossia la possibilità di divergere dai regolamenti europei: Bruxelles potrà imporre sanzioni, ma le dispute non saranno regolate dalla Corte europea bensì da arbitrati indipendenti. Ed è per questo che Boris ha potuto rivendicare il pieno recupero della sovranità legale. È il punto cruciale: Bruxelles voleva un «allineamento dinamico», ossia che i britannici adeguassero le loro leggi ogni volta che gli europei ne introducevano di nuove. Per Londra avrebbe significato rimanere uno «Stato-satellite» della Ue, vanificando la Brexit: Johnson qui non ha ceduto di un millimetro e la Gran Bretagna è libera di dare gli impulsi che crede alla propria economia, a partire dalle nuove tecnologie.
In cambio ha dovuto cedere qualcosa sulla pesca, che era diventato il contenzioso più arduo da superare. Per i prossimi cinque anni e mezzo i pescherecci europei continueranno ad avere accesso alle acque britanniche, anche se in maniera un po’ più limitata: ma dopo questo periodo Londra riacquisterà il pieno controllo delle sue coste.
Laddove l’accordo è particolarmente striminzito è sui servizi – cioè la finanza – che pure costituiscono la stragrande maggioranza degli scambi euro-britannici: ma l’accordo pone le basi per sviluppare una cooperazione successiva.
Per il governo britannico l’intesa è il primo passo di una «relazione speciale» fra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. E come ha detto lo stesso Johnson quando ha presentato in tv il fascicolone con il testo, loro resteranno «culturalmente, spiritualmente ed emotivamente parte dell’Europa». Ma sul piano politico hanno riacquistato la piena autonomia: e Boris può ben dire di aver così mantenuto le promesse del referendum per la Brexit del 2016.