ItaliaOggi, 24 dicembre 2020
Orsi & tori
Tutti concentrati sul virus, ma nel mondo intanto è in atto una rivoluzione geopolitica dalla cui conoscenza non si può prescindere se si vuole vivere consapevolmente. Una delle operazioni chiuse in extremis da Donald Trump per tentare di vincere le elezioni è stata l’annuncio, con ben curata regia media, della pace fra Israele e alcuni paesi del Golfo, a cominciare dagli Emirati. L’ex capo della Cia e segretario di stato, Michael «Mike» Pompeo, è apparso come il grande regista dell’operazione, che mirava sicuramente, per il momento in cui è stata annunciata, a catturare il voto dell’influente comunità ebraica degli Usa. In realtà a fare quasi tutto è stata Israele. Certo, gli Stati Uniti dovevano dare il loro consenso, ma la base della pace ha le fondamenta nel cambiamento epocale che i paesi petroliferi stanno vivendo: la prospettiva è che fra 8-10 anni le loro rendita petrolifera si sarà ridotta al lumicino. Tutti, compresa l’Arabia Saudita che è dominante nell’area, sanno che il mondo camminerà, produrrà con la tecnologia. E chi è nell’area, e non soltanto nell’area, il numero uno assoluto se non Israele?Basti pensare che perfino il Qatar, che si era appoggiato alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, ha fatto rotta verso Israele. E Dubai e Abu Dhabi sono diventati il cuore del progetto di poter disporre della tecnologia di Israele per poter sviluppare attività sostitutive della rendita petrolifera.
Ma se ci si fermasse qui, si darebbe conto solo delle ragioni profondamente economiche per cui quegli accordi di pace fra Israele e i vari paesi sono stati firmati davanti a Trump. In questo cambiamento epocale c’è molto di più e si arriva fino in Asia e in particolare in India.
Prima di arrivarci conviene anche capire se qualcuno più degli altri ha fatto da trait d’union fra gli Emirati, Israele e l’India. Una persona chiave c’è e si chiama Raphael Nagel.
Tedesco, ex Deutsche Bank, è il principale gestore delle ricchezze che sono nate localmente o che sono arrivate negli Emirati.
Nagel (non pare sia parente del ceo di Mediobanca) ha teorizzato più degli altri che l’economia basata sul fossile, cioè sul petrolio, ha addirittura una prospettiva fra i 5 e i 6 anni. Per questo ha fatto da ponte fra il mondo arabo e israeliano, approfittando anche dell’accelerazione tecnologica provocata dal Covid. È un uomo che a cavallo fra business e lato politico del business fa affari colossali perfino nel mondo del calcio: ha lui il mandato per vendere lo stadio del Barcellona e per lo sfruttamento del brand in tutti i settori.
Il ragionamento che ha fatto ai suoi clienti e ai governanti di Dubai e Abu Dhabi è stato semplice. A parte la potenza anche militare dell’Arabia Saudita, qual è la super potenza della regione? Israele. Quindi va creata armonia con il mondo ebraico e Dubai deve diventare sempre di più il luogo di incontro per una nuova strategia degli affari. L’Arabia Saudita ha dato il suo assenso.
I governanti degli Emirati hanno avuto l’apertura mentale di capirlo e così è stato firmato un trattato di pace dopo l’altro con Israele.
Il punto di incontro con gli Usa è stato trovato, in maniera facile, nella proiezione di questa nuova realtà verso l’India, cioè il paese che gli Usa hanno deciso che debba essere l’alternativa alla Cina in Asia.
Spiega l’ambasciatore italiano in India, Vincenzo De Luca, che l’India è effettivamente l’unica possibile alternativa alla Cina in Asia, sia per numero di abitanti, che anche per una base significativa nella tecnologia, anche se principalmente a livello di scrittura e gestione di software. Sono infatti da tempo in India i maggiori centri di elaborazione e manager indiani sono arrivati ai vertici di grandi società internazionali. Insomma, l’habitat è favorevole, anche se il paese, formato da molte razze e religioni, non è ordinato e compatto come la Cina. Mentre nel Celeste impero la fame è stata sconfitta da anni, in India persiste. La differenza fra i due paesi la percepimmo già nel 1978, di ritorno in Italia dalla missione fondamentale organizzata dall’allora ministro del commercio estero Rinaldo Ossola, per fare alla Cina il primo finanziamento del mondo occidentale, equivalente più o meno a 2 miliardi di euro di oggi, per comprare prodotti italiani. Viaggiammo molto in Cina e quasi dovunque c’era ordine. Dovemmo fare scalo per alcune ore a Bombay e ne approfittammo per visitare la città. Nel percorso vedemmo più di un morto lì, per strada, abbandonato a se stesso. Dal 1978 la realtà dell’India è cambiata, ma la crescita della Cina è stata dieci volte o più superiore. Quindi il lavoro che dovrà essere fatto dagli Stati Uniti per creare un’alternativa alla Cina in Asia sarà assai impegnativo.
Tanto è vero che la strategia degli Emirati, come piattaforma verso l’Asia, è precisa verso la Cina e i cinesi. Dovranno arrivare per ultimi a creare business e relazioni in Abu Dhabi e Dubai. Ma certo anche per i cinesi Dubai sarà, e in parte lo è già, luogo d’incontro.
Nella strategia dei paesi del Golfo e nella pace con Israele ha un ruolo anche la volontà di isolare l’Iran, dovendo comunque anch’esso fare i conti con il periodo d’oro del fossile.
Le maggiori famiglie indiane hanno già una posizione ad Abu Dhabi e operano in quasi tutti i business, incluso quello di prodotti che possono fare concorrenza a Red Bull. È infatti in lancio una versione indiana del prodotto che promette di non far sentire la fatica e il sonno e che era di casa nei party di Alberto Genovese.
Ma sono la tecnologia, la meccanica, l’alimentare che nel disegno strategico degli Emirati devono crescere non per essere prodotti in loco, ma perché il luogo sia il ponte per essi con l’Asia e in particolare con l’India.
Perché l’India anche per gli Usa?
Non solo perché c’è una base tecnologica ma perché è il secondo paese al mondo dopo la Cina per numero di abitanti. E anche i ragazzi del liceo sanno che la corsa tecnologica la vince chi ha più persone che usano lo smartphone e che quindi producono più dati fondamentali per sviluppare un’intelligenza artificiale sempre più raffinata. Infatti, in questo momento la Cina sta battendo per le varie forme di tecnologia e di intelligenza artificiale gli Stati Uniti, perché fra i due paesi c’è una differenza di ben 1,1 miliardi di abitanti, avendone gli Usa 300 milioni e la Cina 1,4 miliardi.
Quindi l’India come possibile barriera verso la Cina e come paese per recuperare da parte degli Stati Uniti il gap demografico.
Con gli Emirati che possono essere, per così dire, il software per indirizzare qualsiasi prodotto verso l’Asia.
Ma tutto ciò non sarebbe possibile se non ci fosse nella regione una superpotenza tecnologica e militare come Israele.
In tutto questo movimento, l’Italia e l’Europa che spazio si possono ricavare? Più che altro devono affrettarsi a cercare di ottenerlo perché il treno dei nuovi assetti geopolitici è partito. L’operazione pace degli arabi con Israele purtroppo è stata vissuta da molti meramente come una carta che Trump ha tentato di giocare per la rielezione. Invece, dietro, c’è molto di più, c’è un mondo di equilibri nuovi, di mercati nuovi a cui guardare, senza tutta via perdere il contatto forte con la Cina, che è già una super potenza economica, di nuovo in forte crescita. La sfida, specialmente per l’Italia, è quella di riuscire a essere in prima fila sia negli Emirati, che in India e Cina. Non c’è dubbio che il mondo si sposta in senso opposto al sole. Non si può far finta di non saperlo.
P.S. ItaliaOggi augura ai suoi lettori un 2021 Verde speranza, come rappresenta una speranza quell’uccellino verde uscito alla fine dal Vaso di Pandora dopo che ne erano fuoriusciti tutti i mali, ultimo ma non ultimo il Covid-19. Se il verde è il colore della speranza lo è ancora di più oggi, in una fase in cui il verde dovrebbe prevalere nel mondo. Quindi pensare verde fa bene. Auguri a tutti coloro che ci leggono e a tutti coloro ai quali voi lettori volete bene.