il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2020
La guerra di secessione delle toghe rosse
La fuoriuscita, nei giorni scorsi, di 26 toghe (nel frattempo si è dimessa pure la pm Lucia Musti) da Magistratura Democratica, la storica corrente di sinistra, parte da lontano. Almeno dal 2016, quando Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, promuove il referendum per cambiare la Costituzione. Fallendo.
Ed Md cosa ha a che fare con tutto questo? Una parte della corrente, maggioritaria, si schiera per fare campagna in prima linea per il No a quella riforma e una minoranza, ma di peso, critica quella scelta. Da un lato c’è la cosiddetta ala “identitaria”, quella che non vuole rinunciare “alla sua esistenza di corrente di pensiero della magistratura”, e dall’altra c’è l’ala che vuole sciogliere Md, affinché il cartello elettorale di Area, costituito da Md e Movimenti per la Giustizia, diventi una realtà unica. È l’ala “purista” di cui fanno parte i dimissionari, accusati dagli identitari anche di non aver preso posizioni forti verso le toghe di Area che andavano a braccetto con Luca Palamara, ex dominus delle nomine al Csm. Tra gli identitari 2.0 (fino a pochi anni fa gli schieramenti erano diversi) ci sono Maria Rosaria Guglielmi e Riccardo De Vito, segretaria e presidente di Md, Rita Sanlorenzo, ex segretaria di Md, Ezia Maccora, ex consigliera Csm, Silvia Albano, giudice civile a Roma, Fabrizio Vanorio, pm di Napoli e prima di Palermo, Nello Rossi, ora in pensione, ex avvocato generale della Cassazione e attualmente direttore della rivista di Md, Questione Giustizia. È colui che si è schierato per la decadenza dal Csm di Piercamillo Davigo, perché in pensione da magistrato mentre Giuseppe Cascinie gli altri consiglieri di Area al Csm erano per la permanenza, salvo astenersi (3 su 5) dopo la decisione del Comitato di presidenza di votare per la decadenza. Cascini e Ciccio Zaccaro, altro togato Csm di Area, si sono dimessi da Md nei mesi scorsi, senza clamore. Tra i 26 “puristi” di Area che, invece, nei giorni scorsi hanno firmato una lettera di dimissioni contro la dirigenza di Md, accusata di essere fuori dalla realtà, ci sono: Eugenio Albamonte, segretario di Area ed ex presidente dell’ Anm; Luca Poniz, presidente dell’Anm fino a poche settimane fa; Anna Canepa, ex segretaria di Md, pm della procura nazionale antimafia; Lia Sava, procuratore generale di Caltanissetta.
Per capire come si è arrivati a tutto ciò però bisogna prima raccontare l’inizio della fine. Sia il conflitto interno sul referendum di Renzi sia sulle nomine al Csm, infatti, si materializzano al Congresso di Md a Bologna già nel novembre 2016. È lì, per esempio, che ci sono interventi critici verso Valerio Fracassi, capogruppo di Area al Csm (di provenienza Movimenti). Quel Fracassi che sarà tra i protagonisti delle chat con Palamara tre anni dopo. Restando al 2016, una parte di Md non ha mai digerito, per esempio, per la mancanza di titoli, la nomina a primo presidente della Cassazione di Giovanni Canzio, con i voti della maggioranza di Area: Canzio non era neppure consigliere di Cassazione e se non ci fosse stata la legge ad personam del governo Renzi, sarebbe stato, per età, presidente della Cassazione per soli 8 mesi, e non due anni. Gli allora due unici componenti di Area in “quota” Md, Lucio Aschettino e Piergiorgio Morosini in plenum si astennero con motivazioni al vetriolo. Fin qui le prime grosse crepe degli anni scorsi.
Tornando al presente, le critiche degli identitari sono diverse, a cominciare dalla scelta dei consiglieri di Area di votare Raffaele Cantone a procuratore di Perugia nonostante venisse da un lungo fuori ruolo, alle “strategie” di alcuni fuoriusciti, questa l’accusa, per non far eleggere al Csm l’identitario Vanorio. Ma nel documento dei fuoriusciti la lettura di quanto succede nella corrente delle “toghe rosse” è un’altra: “Un luogo escludente, autoreferenziale, assente dal dibattito politico reale, opaco e ambiguo rispetto al progetto politico di Area e che seppellisce nel silenzio il dissenso interno“. I fuoriusciti bollano “le recenti, continue critiche all’operato di Area e delle sue rappresentanze al Csm e in Anm” come “quasi sempre postulati privi di contenuto”. Forse è proprio per questa analisi che, dopo il ritiro di Luca Poniz (il più votato di tutte le correnti) da candidato presidente dell’Anm dalla vincitrice Area, diventa presidente Giuseppe Santalucia, candidato di Albamonte, ex capo del legislativo al ministero della Giustizia guidato da Andrea Orlando.
Esclusa l’identitaria Silvia Albano, la seconda più votata di Area. A un’assemblea degli eletti di Area nel parlamentino dell’Anm, ci risulta che la Albano abbia accusato proprio Albamonte di averla tagliata fuori. Quali ora gli scenari possibili? Un tentativo di Area di cambiare lo statuto per vietare la doppia iscrizione. Quindi chi è di Md si troverebbe a dover scegliere: o fuoriuscire da Area o da Md. Oppure, potrebbe essere Md a decidere di uscire da Area. D’altronde nel coordinamento di Area non c’è nessun membro dell’ala “identitaria”.