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 2020  dicembre 23 Mercoledì calendario

D’Alema consigliere di Conte

Agli intimi a cui ha confidato le proprie impressioni dopo l’ennesimo incontro con i renziani, Giuseppe Conte ha confessato di non aver ancora capito dove voglia arrivare l’ex premier: «Abbiamo cominciato a parlare, ho smussato qualche angolo, penso che non abbia, né io gli darò, i margini per rompere. I suoi oggi mi sono sembrati più disponibili, ma poi va a sapere cos’abbia in testa lui».
Se si trattasse di una partita a scacchi, la mossa di Conte sarebbe un classico arrocco. Renzi, invece, si sa e se ne compiace, è un patito della mossa del cavallo, dall’apertura in poi: punta tutto sull’imprevedibilità, non sopporta essere stretto in un angolo. «Intanto ha spiegato il leader di Italia Viva abbiamo tolto dal tavolo la task force per il Recovery fund, ma la prossima settimana sarà quella decisiva. Non è che io mi accontento della task force. Abbiamo posto la questione dei servizi segreti, del Mes, di Cdp, della prescrizione. E non mollo e combatto. Non posso certo avere tutto quello che ho chiesto, ma voglio molto. La linea del Piave? Allora non ci siamo capiti: noi stiamo giocando in attacco e lui in difesa. La linea del Piave (...)
(...) se la deve immaginare lui. Non io. A Palazzo Chigi, invece, fanno girare la voce che possa perdere qualcuno dei miei al Senato. Si illudono, io non perdo nessuno. Comunque, un primo passo avanti è stato fatto».
Gli argomenti da sviscerare sono tanti e intanto passa il tempo. Siamo nel festival della tattica e la partita prenderà una piega, in un senso o nell’altro, solo all’indomani dell’approvazione della legge di bilancio. Se, invece, uno volesse addentrarsi nella strategia, a sentire Renzi ci sono due possibilità: «O un Conte ter o un governo Draghi». Inutile dire che, se la situazione non sfuggirà di mano, il governo Draghi è la minaccia con cui il leader di Italia Viva tenta di arrivare al «Conte ter» (e al rimpasto), più o meno come le elezioni anticipate sono lo strumento di pressione con cui Dario Franceschini tenta di salvaguardare il «Conte bis» e se stesso.
Questi sono i piani, poi, appunto, si improvvisa, perché questa è la vera natura del teorico della mossa del cavallo. Tanto più che il personaggio ama muovere pedoni, alfieri, torri e financo la regina da solo. L’altro giorno quando uno dei suoi, Ettore Rosato, ha avuto l’ardire di fare un attacco sopra le righe al premier, si è pure arrabbiato. Davanti alla scacchiera ci deve essere solo lui. E i toni concilianti dell’incontro di ieri con Conte sono serviti a riequilibrare la fuga in avanti di due giorni fa. «Rosato spiegava ieri Marco Di Maio è stato troppo tranchant. È stato un errore di comunicazione a cui dovevamo porre rimedio. Anche perché trovare una quadra oggi è tutt’altro che facile. Conte si è rimangiato la task force e anche l’emendamento sulla Fondazione per la cyber-intelligence. Per lui sarà difficile darci il Mes, come per noi sarà complicato trovare la strada per arrivare al Conte ter. Quello che, invece, il premier deve togliersi dalla testa, e anche il Pd, è la possibilità di dividerci».
Già, quello di dividere l’avversario o di renderlo ininfluente è una vecchia fissazione di uno dei suggeritori del premier. Eh sì, perché mentre in questa partita Renzi balla da solo o, al massimo, con Salvini che gli copre le spalle per impedire che Conte possa contare sull’aiutino di qualche pezzetto del centrodestra («Questa volta qualcosa Renzi la fa», è convinto il leader leghista), Conte, invece, balla con una numerosa compagnia. Ed è anche comprensibile visto che l’avvocato d’affari non è avvezzo alle tattiche e alle strategie della politica. Né tanto meno può accontentarsi dei consigli del suo nume tutelare Marco Travaglio, che come Robespierre minore potrebbe pure andare, ma non ha né la stoffa, né la storia per giocare dalla parte di Napoleone. E se ci prova rischia di fare la figura del mezzo dilettante: ieri dopo aver castigato per una vita il trasformismo e il mercato dei voti in Parlamento, non ha trovato di meglio che consigliare a Conte di comprarsi, ovviamente dal punto di vista politico, un po’ di ex forzisti. È un’idea vecchia come il cucco, ma per metterla in pratica ci vuole una certa esperienza che né Conte, né tanto meno Travaglio hanno.
Chi ha invece un ottimo «pedigree» per queste cose è un altro consigliere del premier, il redivivo Massimo D’Alema: dividendo le truppe degli «avversari» ha disarcionato il primo governo Berlusconi con Bossi e Lamberto Dini; e sempre alla stessa maniera ha messo in piedi il suo governo a spese di Romano Prodi. Insomma, D’Alema nel settore è il migliore. Anche se sul fronte nevralgico, il Senato, l’operazione è complicata. Il premier non può contare più di tanto sui totiani Romani e Quagliariello, perché sta maturando l’ipotesi di un nuovo soggetto politico per il prossimo gennaio dalla fusione con Mara Carfagna, tutto ancorato però nel centrodestra. E tutti sanno ciò che Salvini ha detto: «Chi appoggia Conte è fuori». Quindi, i numeri per l’operazione appaiono risicati: «Al massimo confida l’azzurro toscano, Maurizio D’Ettore saranno due uomini e una donna».
Ma si sa, l’ex leader Maximo ne conosce una più del diavolo. Ci mette poco a tirar fuori un nuovo «dalemone» (così si chiamavano i piani sofisticati del primo ex comunista entrato a Palazzo Chigi). Eppoi sul fatto che il personaggio giochi con Conte nessuno ha dubbi nel Palazzo: «Non ci sono alternative», è il giudizio pronunciato giorni fa sul governo dall’interessato con il tono della sentenza. Eppoi questo esecutivo è zeppo di ex dalemiani di complemento: trequarti della corrente ministeriale viene da lì. Al Mef esercitano una sorta di egemonia con il ministro Gualtieri. Un nutrito gruppo era candidato alla task force silurata da Renzi: dal responsabile del Mef, al ministro per le Politiche Ue, Amendola. Per non parlare dei pretoriani di Conte che hanno un Dna marcatamente dalemiano: dal ministro Boccia all’onnipresente commissario Arcuri, al suo braccio destro Massimo Paolucci, vice commissario per il potenziamento delle infrastrutture ospedaliere per il Covid. «C’è un legame tra il premier e Massimo ammette Andrea Romano, altro dalemiano di complemento del passato è vero. Anche perché sul piano della strategia politica, Conte dove andrebbe da solo?». «Massimo spiega Antonio Bargone, altro personaggio della galassia dalemiana, che pure non ha un giudizio lusinghiero su questo governo mi dice che ogni tanto gli chiedono consigli». E c’è addirittura chi fa risalire l’ispirazione della simpatia di questo governo verso la Cina al rapporto con D’Alema. «Che questo governo racconta Valentino Valentini, uno dei consiglieri del Cav sia filocinese non ci sono dubbi. E il rapporto con D’Alema fa capire perché Renzi faccia il pazzo».
Eh sì, perché si può rimproverare di tutto a Matteo Renzi, meno che sia uno sprovveduto. E basta fare «uno più uno» per capire che tra i suggeritori del premier c’è pure l’ex leader Maximo. «È vero», taglia corto il leader di Italia Viva. Di più non dice. È stato, invece, più loquace qualche settimana fa un renziano doc come Gennaro Migliore: «Eccome se conta D’Alema in questo governo. Da Gualtieri ad Arcuri. E quello ha una memoria d’elefante: il suo intento sarà sempre quello di ammazzare Renzi».