La Verità, 23 dicembre 2020
Vita, morte e miracoli di Babbo Natale
In principio fu san Nicola, venerato vescovo di una città della Lycia che allora si chiamava Myra. Dalla Puglia all’Olanda, passava di casa in casa lasciando dolcetti, cioccolatini e panpepato nelle scarpe dei bambini ubbidienti. Al contrario di Babbo Natale, Nicola era più magro di un’acciuga, aveva una barba marrone, e vestiva un abito talare. Non attraversava il mondo su una slitta trainata da renne ma galoppava di tetto in tetto in sella a un cavallo bianco o a un asino magico. Ma c’è anche chi lo vide sul dorso di una capra.
Nel corso della sua vita Nicola non dispensò solo doni ai poveri ma anche miracoli. Si racconta che fece resuscitare con un semplice segno della croce tre orfanelli uccisi da un macellaio che voleva rivenderne le carni come tagli di maiale, liberò tre generali dalla prigione, riuscì moltiplicare un carico di grano per sfamare i miresi e – questo è un vero miracolo – a convincere l’imperatore bizantino a ridurre le tasse. Infine si racconta che fece piovere sacchetti di monete d’oro davanti alle finestre delle tre figlie di un poveraccio che, per raccogliere il denaro necessario per la loro dote, s’era deciso a farle prostituire. Trovando però la finestra della terza figlia sbarrata, il vescovo pensò di buttare il sacchetto giù dal comignolo e la dote s’infilò in una delle calze che la ragazza aveva messo ad asciugare vicino al camino. Fatto Santo, il mito di Nicola fece il giro mondo e le sue reliquie furono trafugate il 9 maggio del 1087 a Bari, città che lo venerava da tempo, con una spedizione di tre navi e 47 uomini. San Nicola di Myra divenne di Bari, città dalla quale, per secoli, ogni notte tra il 5 dicembre e il 6 dicembre, data della sua festa, vestito con il suo abito talare, galoppava sui tetti di mezzo mondo per calare doni e dolciumi dai caminetti, proprio come fece con la dote della fanciulla di Myra. E fu così per secoli, almeno finché la riforma protestante provò a sfatarne il mito.
A Martin Lutero il fatto che un vescovo portasse doni ai bimbi non andava giù e nel 1535 istituì la figura di Krist Kindl, uno spirito angelico che la notte di Natale portava i regali per conto di Gesù, suonando una campanella al suo passaggio. La sua figura però ricordava talmente tanto quella del bambinello che in diversi Paesi come Austria, Svizzera, parte della Slovenia, Sud della Germania e Nord Italia a dispensare doni la notte di Natale era proprio Gesù bambino.
Non tutti però si convinsero a sostituire san Nicola con il bambinello. Ad esempio gli inglesi preferirono creare un Father Christmas, svestendo il Santo del suo abito talare per fargliene indossare uno verde scuro, e sostituirono la mitra con un cappuccio adornato alla sua estremità con un pompon bianco, come lo spirito di Natale raccontato da Charles Dickens in A Christmas Carol. In Russia, dove veniva chiamato «Nonno gelo», venne vestito di azzurro scuro o di blu. In Olanda però il mito di san Nicola resistette e i coloni, che nel frattempo erano sbarcati in America per fondare la loro Nieuw Amsterdam, che poi diventerà New York, lo portarono con loro. Qui il patrono di Bari prese il nome di Santa Claus e finalmente qualche secolo dopo, grazie alla penna di Clement C. Moore, anche qualche chilo. Nella poesia A Visit from Saint Nicholas, scritta nel 1823, divenne un elfo panciuto, indossava vestiti rossi orlati di pelliccia e viaggiava su una slitta trainata da otto renne. La nona, Rudolph da naso rosso, arriverà cent’anni dopo con un racconto di Robert L. May ma diverrà famosa solo nel 1949 con la canzone di Johnny Marks.
Nel 1862 poi il presidente Abraham Lincoln chiese all’illustratore Thomas Nast di rendere più accattivante la figura di questo Babbo Natale. Nast aveva da poco seguito Garibaldi nell’impresa dei mille e in quel periodo stava raccontando con le sue immagini la guerra di secessione. Così, sulla rivista statunitense Harper’s Weekly per la prima volta apparve un Babbo Natale rubicondo dallo sguardo bonario che, per confortare i soldati nordisti al fronte, vestiva una giacca con 34 stelle e pantaloni a strisce come la bandiera americana con gli stati del Nord e anche con quelli del Sud. Da Moore prese in prestito la slitta, le renne e dopo i primi 33 disegni anche i vestiti rossi orlati di pelliccia. Per enfatizzare il pancione prominente gli mise una cintura nera in vita. E così, vignetta dopo vignetta, il Babbo di Nast pipa in bocca, regali sotto braccio, e spada alla cintura, prese moglie e casa al Polo Nord, in Alaska precisamente, iniziò a fare la lista dei bimbi cattivi e a far sedere sulle sue gambe quelli buoni incoraggiandoli a scrivere letterine. Nast lo sveste da ogni connotazione religiosa e politica rendendolo un’esclusiva dell’immaginario infantile: «Queste immagini si appellano non a supportare una particolare denominazione religiosa o un partito politico, ma alla delizia universale nel più felice dei giorni festivi». Il Babbo Natale di Nast prende piede nell’immaginario collettivo al punto che nel 1886 Louis Prang, un tipografo di Boston, ne stampa uno simile su quelle che diventeranno le prime cartoline di Natale e un altro collega fa trainare la sua slitta da oche. Anche il vicino Canada adotta Babbo Natale ma sposta la sua residenza nel Nord del Paese, assegnandogli il codice postale H0H 0H0.
Che si trovi in Alaska, in Canada o in Lapponia, dove gli europei hanno preferito dargli casa, Babbo Natale risponde sempre. A Susie Clemens, figlia di Mark Twain, Santa Claus rispose addirittura da Palazzo di San Nicola sulla Luna per darle buffe istruzioni sulla consegna dei regali. Il Babbo Natale dei figli di J.R.R. Tolkien scrisse per vent’anni lettere dalla Casa fra le vette del Polo Nord. Con una calligrafia tremula, per via del freddo e dei suoi 1924 anni, raccontava loro la sua vita al Polo fatta di orsi bianchi del Nord, elfi delle nevi e gnomi rossi.
In quegli anni Babbo Natale iniziò a farsi vedere anche per strada, spesso per raccogliere fondi da dare in beneficenza ma anche per pubblicizzare centri commerciali. Nel 1937, andò anche a scuola ad Albion, nello stato di New York, dove nacque un corso di formazione per Santa Claus, per imparare a raccontare storie e nuove tecniche di vendita. Fu allora che Babbo Natale si diede al business. Già nel 1923, la White Rock al posto del latte gli faceva bere a le sue acque minerali e i suoi ginger ale per pubblicizzarli. Idea che fu ripresa dalla Coca-Cola sia negli anni Venti che nel 1930, quando usò un Babbo Natale disegnato dell’artista Fred Mizen che sorseggiava una bibita mezzo alla folla di un grande magazzino. La multinazionale di Atlanta, ricorda Nicola Lagioia nel suo Babbo Natale, a causa di un processo che si svolse nel 1911 in cui la bibita venne demonizzata – «La bibita tiene svegli i ragazzi esponendoli alle tentazioni della masturbazione», disse in aula il metodista evangelista George Stuart – fu costretta a non far pubblicizzare più la bibita ai minori. Nel 1931, quando finalmente la Coca-cola poté entrare nei frigoriferi delle casalinghe – prima era destinata solo ai banconi dei bar – doveva riconquistare il mercato dei più giovani e per farlo si affidò al disegnatore Haddon Sundblom. Scrive Lagioia: «Il colpo di genio di Sundblom fu quello di far convivere l’aura di soprannaturalità che circondava Babbo Natale con l’estetica dell’uomo comune. Il nuovo Babbo Natale doveva essere partorito dal cuore magico dell’America del ventesimo secolo. Sundblom utilizzò come modello l’uomo della porta accanto, vale a dire il suo vicino di casa Lou Prentiss, un commesso viaggiatore che l’American way of life aveva fornito di una corporatura robusta, un volto allegro entro i limiti del sospetto, una fiducia nel presente e un’ecolalica vitalità che debordava da tutti i pori della sua persona». Dal 1931 al 1964 le pubblicità Coca-Cola ebbero come protagonista Babbo Natale di Sundblom che regalava giocattoli, che beveva una bibita mentre si riposava per leggere una lettera o rubava una bottiglia dal frigo di qualche casa dopo aver lasciato i regali sotto l’albero. L’operazione fu un successo. Sia Babbo Natale che la Coca-Cola, entrambe di rosso e bianco vestiti, entrarono nelle case di tutto il mondo, anche in quelle italiane, dove negli anni Cinquanta il vecchio di rosso vestito, negli anni del boom economico, ebbe la meglio anche su Santa Lucia, diventando un’incarnazione paffuta della civiltà del benessere.
Babbo Natale, che quest’anno sarà costretto a indossare la mascherina per via del Covid, non ha sempre avuto vita facile… Nel 1951, a Digione, alcuni bigotti tentarono di ammazzarlo impiccandolo all’inferriata del Duomo per poi dargli fuoco e ridurlo in cenere davanti agli occhi delusi di 250 bambini. Ma un dolce miracolo di Natale lo fece resuscitare.