Corriere della Sera, 23 dicembre 2020
Atenei, sentenze, follie burocratiche
«L’annullamento di un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità». Quasi quindici anni dopo quel «verdetto» amministrativo (cosa fatta capo ha) pronunciato dall’allora direttore generale della Pubblica Istruzione Antonello Masia a proposito di un celeberrimo concorso truccato di otorinolaringoiatria scoperto, processato e condannato dalla magistratura, qualche ateneo è ancora convinto di essere al di sopra delle sentenze giudiziarie? Risponde l’ultima sentenza del Consiglio di Stato, poco più di un mese fa, a favore di Luca Cegolon, un medico trevigiano che già aveva vinto al Tar dopo essere stato bocciato dall’università di Trieste in una «selezione per l’assunzione di un ricercatore a tempo determinato (con contratto triennale) per il settore concorsuale 06/M1-Igiene Generale e Applicata e Statistica Medica, Settore scientifico disciplinare MED/42». In pratica, spiegarono ad aprile Il Piccolo di Trieste e l’Associazione Trasparenza e Merito, «la prima classificata era priva dei titoli adeguati alla tipologia di bando, ovvero la laurea in Medicina» quindi il Tar aveva dato ragione allo sconfitto, «disponendo l’esclusione della candidata vincitrice con conseguente aggiornamento della graduatoria. In sintesi, secondo i giudici il tipo di incarico di ricercatore previsto dal bando presupponeva la laurea in Medicina, mentre la vincitrice aveva una laurea in Biotecnologie, considerata di ramo tecnico». Giusto? Sbagliato? Interessa fino a un certo punto. Il tema centrale infatti è: la sentenza del Tar andava applicata o no? Il Consiglio di Stato ha ribadito: sì. E ha respinto il ricorso dell’Ateneo: «La completa parificazione dei laureati in medicina e dei laureati in discipline sanitarie, contrariamente a quanto sostenuto dall’Università, non trova alcun riscontro nella normativa citata dall’appellante». E lì torniamo al nocciolo: il doppio verdetto sarà rispettato? Vedremo. È interessante rileggere la lettera di risposta inviata, dopo la sentenza del Tar, dal direttore generale dell’Università. Così contorta che ci permettiamo di riproporre ai lettori almeno la leccornia finale in burocratese stretto: «La proposta di chiamata costituisce, infatti, espressione di un diritto protestativo ad esercizio procedimentalizzato...» La Crusca, attenta all’eleganza e alla semplicità, non potrebbe raccomandare di meglio…