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 2020  dicembre 23 Mercoledì calendario

Hacker, attacco infinito agli Usa

Se non fosse uno scontro sotterraneo tra grandi potenze dalle conseguenze imprevedibili ma comunque gravi, sarebbe un’ottima sceneggiatura per un film tra spy story e fantapolitica.
Hacker di Stato (la Russia, dice Washington) che invadono silenziosamente le reti digitali di decine di amministrazioni pubbliche civili e militari americane, dal Tesoro ai gestori dell’arsenale nucleare del Pentagono, e anche di 400 delle 500 maggiori imprese Usa, quelle dell’indice S&P. Nessuno sa valutare la gravità di un attacco partito 6-9 mesi fa e scoperto con grave ritardo. È un’aggressione di nuovo tipo: gli hacker non si limitano a trafugare segreti fuggendo non appena scoperti, ma inseriscono nei sistemi informatici presi di mira codici maligni pressoché impossibili da estirpare che continuano a spiare anche dopo essere stati scoperti.
Per eliminarli, queste reti informatiche andrebbero demolite e ricostruite da zero. Significherebbe paralizzare per un bel po’ rami del governo, reti infrastrutturali, pezzi del sistema produttivo e finanziario. Di più: nessuno sa se il Cremlino ora può usare quei codici per sabotare, oltre che per spiare.
Davanti a tutto questo Donald Trump, un presidente che sembra sempre più la caricatura di un manchurian candidate, minimizza e, ignorando ostentatamente le dure accuse alla Russia di un suo fedelissimo, il segretario di Stato Mike Pompeo, sostiene che il problema è piccolo e non viene dalla Russia. Semmai dalla Cina: un’accusa gratuita, visto che le tracce individuate dall’intelligence Usa portano verso lo Svr, il servizio di spionaggio estero russo erede dell’ala più tecnologicamente avanzata del Kgb.
Putin nega ogni coinvolgimento russo, ma intanto va a celebrare solennemente i 100 anni del servizio di spionaggio Svr, sostenendo che la sua azione è stata essenziale per la sicurezza della Russia.
E adesso? Se fosse hollywoodiano il film richiederebbe un finale da «arrivano i nostri». Ron Klain, che sarà capo di gabinetto nella Casa Bianca di Joe Biden, lo offre sotto forma di un fermo impegno a fronteggiare la minaccia russa «non solo con sanzioni economiche ma anche con azioni che degraderanno la capacità di Mosca di lanciare in futuro altri attacchi simili».
Stavolta vari esponenti repubblicani hanno reazioni indignate molto più vicine alle posizioni di Biden che a quelle di Trump: da Mitt Romney a Marco Rubio che chiede «rappresaglie e non solo sanzioni». Ma quali sono le risposte che gli Usa possono ragionevolmente mettere in campo? Una prima ipotesi è quella di usare le stesse armi di cyberwar per attaccare e tenere in scacco organismi militari e civili russi. Un’altra è quella di inasprire le sanzioni economiche andando a colpire direttamente personaggi del governo, dello spionaggio e imprenditori vicini a Putin considerati corresponsabili dell’attacco cibernetico agli Stati Uniti. La terza ipotesi è quella di escludere la Russia dal sistema internazionale di pagamenti Swift: una specie di bomba atomica finanziaria perché bloccherebbe quasi tutto il commercio estero di Mosca, compreso l’export di petrolio e gas. Un’ipotesi già considerata quando la Russia invase la Crimea: venne scartata per i danni enormi che avrebbe fatto non solo a Mosca, ma anche ai suoi clienti.
Il 20 gennaio Joe Biden dovrà fare subito scelte difficili: appena insediato – e forse con un Trump che continuerà a ostacolare il suo ingresso alla Casa Bianca – dovrà rispondere a Mosca, dando il segnale che la musica è cambiata, ma al tempo stesso dovrà negoziare con Putin perché dopo il 5 febbraio scadrà l’accordo New Start per la riduzione dei missili nucleari intercontinentali che i due Paesi hanno interesse a tenere in vita.
E Chris Krebs, l’ex capo della cybersecurity cacciato da Trump perché aveva definito regolarissime le elezioni presidenziali, consiglia al nuovo presidente cautela nelle rappresaglie. Nelle reti Usa forse sono state nascoste le «uova di Pasqua»: mine digitali che possono essere fatte esplodere per ritorsione.