Placido, perché un film su Caravaggio?
«L’idea viene dal ’68, ero appena arrivato a Roma. Noi studenti dell’Accademia passavamo i pomeriggi a Campo De’ Fiori, di fronte alla statua di Giordano Bruno.
Parlavamo della sua epoca, la stessa di Caravaggio e Shakespeare. Un amico scrisse un testo per me, andato perduto. Sognavo di mettere in scena quel periodo storico in cui convivevano papato, nobiltà e suburra romana. Caravaggio cercava il suo spazio in una Roma che allora era il teatro del mondo. Una sorta di Hollywood, in cui le chiese erano teatri e cinema. Ogni cardinale aveva una chiesa in cui il popolo confluiva alle inaugurazioni dei quadri, decretando il successo di un pittore».
Il film è costruito come un’indagine giudiziaria.
«Sgarbi paragona Caravaggio a Pasolini non solo per l’omosessualità ma anche per la fine misteriosa. Nella Roma piena di spie filospagnole e filofrancesi era scomodo perché nei suoi quadri c’era la vera vita romana, come Pasolini andava per le strade e si sceglieva i compagni di viaggio. In un processo dirà "io cerco il vero". A 13 anni, nella bottega del pittore Peterzano, aveva studiato a memoria la Bibbia e il Vangelo. Ecco perché i suoi santi vanno oltre il cliché religioso e sono legati al Vangelo di Cristo, che era a contatto con chi soffriva. Questa è la rivoluzione di Caravaggio».
Quale film avete rivisto?
«Quello di Derek Jarman è bello, ma noi non cerchiamo di restituire estetica e atmosfera di Caravaggio. La nostra è un’operazione pop, per chi non lo conosce. Lo ritraiamo come un regista che sceglie i modelli, fa le prove, crea le luci. Molti critici la prenderanno male. Con Petraglia abbiamo fatto Romanzo criminale : il pubblico cerca una verità e il film va nella direzione del vero che Caravaggio voleva mettere in scena».
Ha detto che sarà scandaloso.
«Sì. Ma più che per l’omosessualità per il misticismo del nostro Caravaggio. Non farà piacere alla Chiesa romana, che ci ha negato le chiese per le riprese. Siamo andati a Napoli dove ci hanno accolto benissimo. Il Vaticano non fa una bella figura per come tratta Bruno, per la morte di Caravaggio, che per noi fu ucciso».
Caravaggio è citato quando si parla di separare l’uomo dall’artista, come di recente per la vicenda di Woody Allen.
«Ogni figura ha la sua umanità, in ogni opera di Shakespeare c’è lo scandalo di chi uccide o tradisce. Caravaggio aveva un brutto carattere, crudo e vero come i personaggi dei suoi quadri. Woody Allen e Caravaggio forse hanno peccato e saranno condannati. Ma Allen mi dà forza, con quei suoi film in cui confessa di continuo la sua fragilità umana soprattutto nel sesso, rivelando ben più delle accuse che gli hanno mosso poi».
Ha scelto Scamarcio come Caravaggio.
«Molti mi dicono, "ma perché lo hai preso? È litigioso e trasgressivo". Credo nel suo talento, perfetto per il ruolo. Caravaggio è l’emblema di noi artisti: ci vogliono come esempi di purezza e virtù, perché? Nella poetica dell’uomo c’entra il peccato. La parte buia dell’uomo ci affascina, in noi ci sono anche quei semi lì».
Lo scontro sul set tra Scamarcio e suo figlio Brenno?
«Il primo a litigare con Scamarcio sono stato io. Al terzo giorno di set mancava il risultato che volevo e mi è venuto spontaneo aggredirlo. Ma il giorno dopo, al primo ciak, ho visto Riccardo con la luce di Caravaggio negli occhi e l’ho abbracciato».
E Brenno?
«Nella scena in cui Caravaggio uccide Ranuccio Brenno ha spinto Riccardo in un modo che lui ha trovato eccessivo. Quando litighi davanti a 150 persone i toni si alzano. Al ciak avevano l’odio giusto. Riccardo ha ammazzato mio figlio, poi si sono abbracciati. La vera lotta l’abbiamo fatta con il Covid, usciti indenni da un set con migliaia di comparse».
Sul set c’erano Isabelle Huppert e sua figlia Lolita Chammah.
«L’ho incontrata a casa di Isabella a Parigi. È venuta a Roma per un provino. Pur essendo francese è la più caravaggesca di tutti».
Uscirete in sala?
«Sì. Il sogno è la Mostra di Venezia, qualche volta mi hanno trattato male, ma sono orgoglioso del film».
Come ha vissuto gli ultimi mesi?
«Con sofferenza. Ma ho paura anche del ritorno degli antichi vizi. Ho scoperto la bellezza di camminare in una città senza turismo di massa e pullman parcheggiati in centro. Il Natale lo passerò in famiglia, ci godremo di più Roma».
Ha girato il film "Europe C-19" con quattro registi europei.
«Speriamo di andare alla Berlinale. Racconto il lockdown vissuto dall’Italia e da me. Qualcuno che si rifugia nella sua memoria teatrale compara i testi di Pirandello a ciò che stiamo soffrendo. Ci sono sempre punti comuni nell’arte sulle sofferenze dell’individuo».