la Repubblica, 22 dicembre 2020
Il dilemma filosofico del ritocchino alle labbra
Stringendo i denti abbiamo appreso della battaglia tra chirurghi estetici e dentisti, tra gli architetti del viso e gli ingegneri della faccia. E battendo i denti abbiamo letto che il partito di Renzi ha tentato, con “l’emendamento punturina” alla legge di bilancio, di abilitare i dentisti a quel ritocchino che per la verità già praticano pur non avendo, come si dice, “i titoli”.
Chi ha ragione? A prima vista ha ragione il chirurgo estetico che, dovendo coniugare la perizia tecnica con l’etica della professione, almeno sa, o dovrebbe sapere, fino a che punto può spingersi con la chimica e con il bisturi per migliorare la bellezza di un viso (ben altra cosa è, come si sa, la ricostruzione, che si chiama infatti chirurgia plastica ricostruttiva). È tuttavia vero che le labbra del chirurgo stanno sulla bocca del dentista, il quale cura ma anche sbianca e raddrizza, un po’ come il parrucchiere che non si limita a tagliare i capelli, ma usa e magari abusa di misture qualche volta diaboliche. Senza entrare nella delicata materia penale delle professioni esercitate abusivamente, quanto si contaminano i mestieri per esempio nelle palestre dove si rimodella e si scolpisce ed è dunque molto sottile il confine con la medicina estetica? Certo, il dentista estetico è l’imprevedibile evoluzione della «possente mano di Ea» mandata, secondo la favola antica, a «schiacciare» il verme della carie al quale Dio aveva concesso di abitare e nutrirsi tra i denti dell’uomo (Theodor H. Gaster, Le più antiche storie del mondo, Einaudi): «Il verme fa strage dei denti degli uomini e ne rode le gengive; ma il dentista, servitore di Ea, lo attacca e lo uccide». È superfluo premettere che tutti hanno diritto a ritoccarsi secondo i propri canoni estetici perché il solo sovrano del corpo è l’individuo. Ma basta poco per accorgersi che l’Italia è il paese dei corpi manomessi, della presunta body art di massa, del falso come antidoto al veleno del vero, del Cafonal di Dagospia, musi di gomma, seni di plastica e glutei esplosivi esaltati dai più astrusi tatuaggi di ogni genere e in ogni parte del corpo. Ebbene, ferma restando la libertà di farci tutti migliorare e anche rovinare, maschi e femmine, ci pare d’obbligo che a migliorarci e anche a rovinarci siano almeno gli specialisti, che si chiamano infatti chirurghi estetici mentre gli altri si chiamano dentisti o dottori odontoiatri, e questo al di là del sospetto, malizioso e non dimostrato, raccontato sabato scorso da Repubblica, che il tentato “emendamento punturina” alla legge di bilancio fosse ad personam, a favore cioè del fidanzato, attore e dentista, di Maria Elena Boschi. Eppure, c’è stato un tempo in cui era considerato bello anche il vecchio poeta con un dente solo come capitò a Bruno Barilli (morì nel 1952) che dedicò alla propria bocca sdentata la bellissima Orfeo senza denti: «Senza bastone, senza cappello, senza denti, senza fissa dimora e un fiore all’occhiello».