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 2020  dicembre 21 Lunedì calendario

Intervista a Mick Schumacher

«Mi sento pronto per affrontare il primo anno di F1 (guiderà la Haas, ndr), credo che sia uno stato d’animo necessario per far fronte a ciò che viene verso di te. Sino a ora ho cercato di capire il più possibile, di dare risposte corrette. Ma so di essere lontano da una completa comprensione della macchina. I test servono a questo, anche se devi imparare molte cose in poco tempo». 
Dolce ed educato; determinato e riservato. Mick Schumacher ha modi da ragazzo d’altri tempi. Mai un gesto, un atteggiamento fuori posto. Abbastanza per meritarsi, insieme al debutto in F1, rispetto e ammirazione anche da chi, nel 2021 correrà contro di lui. Lo guardi, lo ascolti, e viene in mente la frase di Mufasa, il Re Leone, evocata dal giovane Simba, suo figlio, nel film Disney: «Ricordati chi sei». È una lezione che Mick deve aver appreso all’alba di un percorso più carico di responsabilità che di privilegi. Un viaggio ad alta intensità.
Gioie e sofferenze. Servono entrambe per diventare più forte?
«È difficile per me rispondere a questa domanda. Ciò che è accaduto ha determinato una forma, un modo di essere, mi ha fatto diventare la persona che sono. Ma questo succede a ciascuno di noi, credo. La definizione di un carattere, di una personalità, è il frutto di una esperienza intima che attraversa sentimenti e avvenimenti diversi, specifici. Ogni uomo o donna cerca risposte alle proprie domande. Lo stesso è accaduto per me».
Ha scelto Sebastian Vettel come riferimento. Quale è stato il consiglio più prezioso che le ha dato?
«Sii te stesso. Fidati di te stesso. Non avere paura di mostrarti per ciò che sei».
Sono tanti i piloti di talento della sua generazione. C’è qualcuno che ammira in particolar modo?
«Ciascuno di loro mostra un talento specifico, costruito lungo un percorso individuale. Li osservo. Ammiro chi riesce a manifestare le proprie qualità e penso sempre che posso imparare da ciascuno di loro».
Molti figli di padri campioni sentono il bisogno di liberarsi, vincendo, di una pesante eredità. È così anche per lei?
«No. Non ho mai avuto problemi quando viene ricordato mio padre Michael, quando si cerca un paragone. Il fatto di avere a che fare con una figura rilevante credo sia un onore e uno stimolo. Per me significa impegno, cercare di dare il meglio, se possibile, non vivo tutto questo con pesantezza».
I riferimenti a suo padre Michael sono continui. Della forza, del coraggio, della dedizione di sua madre Corinna si parla molto meno...
«È vero. La considero la miglior madre del mondo. Il suo esempio è stato fondamentale per me».
Ha l’abitudine di rivedere le corse del passato. Cosa cerca quando guarda vecchi Gp?
«Il significato più autentico e profondo di alcuni momenti che hanno segnato la storia delle corse. Il tempo cambia le macchine e le dinamiche ma c’è sempre l’occasione di scoprire qualcosa che ha inciso sui capitoli successivi. Nello sviluppo di uno sport complesso come il nostro si possono individuare molte cose preziose. Oggi i gesti, le tecniche, gli approcci sono frutto di ciò che appartiene al passato. In particolare io sono interessato ai sorpassi. Alle tecniche e allo stile del sorpasso».
Ha 21 anni. È difficile controllare le proprie emozioni?
«Sono cresciuto in un contesto particolare, ogni pilota ha alle spalle un tempo lungo fatto di allenamenti e competizioni. Il motorsport richiede di imparare una specie di codice, di fare l’abitudine a una quantità di situazioni tipiche. Mi sono adattato, ho cercato di applicare razionalità ad ogni sfida perché le conseguenze dei tuoi comportamenti sono decisive. In quali termini lo verifichi nei giorni, nei mesi, negli anni successivi».
Verstappen è convinto che in molti vincerebbero quanto Hamilton con la Mercedes. È d’accordo? 
«Quando guardiamo un campione che domina una intera epoca c’è il rischio di trascurare qualcosa di importante. Il lavoro enorme che richiede, quanto siano rilevanti le risorse, le energie e il talento applicati da quel campione che poi vince. Il discorso vale per Hamilton come per mio padre. Non c’è nulla di casuale dentro un grande successo. È un iceberg, del quale spesso vediamo solo la punta che affiora dall’acqua».
Jean Todt, Stefano Domenicali, Ross Brawn, Mattia Binotto. Sono persone legate alla sua famiglia. Chi sente più vicina?
«Ciascuna di loro. Le persone che hanno lavorato con papà hanno composto una grande storia sportiva. Per me è un privilegio ascoltarle, avvertire la loro presenza».
Lettera a Babbo Natale. Cosa chiede?
«Non l’ho ancora scritta. Ma io sono super felice, ho già avuto molto. Mi piacerebbe che donasse un felice Natale a tutti. Me lo auguro di cuore».