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 2020  dicembre 21 Lunedì calendario

La ricetta di Rigail per rilanciare Air France

"Cari clienti, il 2020 è stato sconvolgente per tutti". Dall’inizio della pandemia Anne Rigail ha preso l’abitudine di scrivere mail ai clienti di Air France nelle quali condividere informazioni pratiche ma anche prospettive a medio termine. Nell’ultimo messaggio prima delle feste il suo augurio è che nel 2021 si potrà "riaprire il cielo". La direttrice della compagnia di bandiera francese ha passato un anno terribile anche se lei preferisce parlare di "trasformazione". "Conosce tutto degli aerei" ha detto di lei Ben Smith, ceo del gruppo Air France-Klm, quando è stata nominata nel 2018, prima donna in questo incarico. Nata nel 1969 a Metz, in Mosella, Rigail è di famiglia. Lavora a Air France da quasi trent’anni. Cresciuta professionalmente nell’aeroporto di Roissy, vicino al quale abita con il marito e i figli, è stata responsabile dei 15mila assistenti di volo ed è arrivata al vertice dopo la stagione degli scioperi e di feroci battaglie sindacali. Molti ricordano la clamorosa scena di un manager di Air France fisicamente aggredito durante una riunione, con la camicia strappata da alcuni dipendenti.
Insieme al canadese Smith, è riuscita a pacificare il dialogo sociale dentro Air France, chiudendo l’accordo per abbassare gli stipendi nella filiale Transavia. La tregua è durata poco. Con un calo del 70% del fatturato dall’inizio della pandemia e perdite superiori a 1,5 miliardi di euro nel terzo trimestre, Air France perde 10 milioni di euro al giorno. L’indebitamento finanziario netto del gruppo è esploso a fine settembre a oltre 9,3 miliardi di euro rispetto ai 6,1 miliardi di euro di fine dicembre 2019. Il governo francese sarebbe pronto a iniettare tra i 4 e i 5 miliardi di euro in più nel capitale di Air France, raddoppiando così la sua partecipazione che oggi ammonta al 14%. In primavera Air France ha già ricevuto 7 miliardi di euro sotto forma di prestiti diretti e indiretti garantiti dallo Stato. "Se guardiamo gli aiuti che hanno ricevuto altre compagnie in Europa vediamo che c’è stato un misto di equity e debito. Noi abbiamo ricevuto un sostegno forte ma unicamente sotto forma di debito. Ora ritengo sia necessario rafforzare la nostra struttura finanziaria", spiega Rigail durante un incontro con i giornalisti dell’Association des journalistes économiques et financiers (Ajef).
 
Una partita politica
"Al livello del gruppo abbiamo circa 12 miliardi di liquidità e quindi non c’è urgenza. La decisione spetta ai nostri azionisti ma il nostro auspicio è che si possa agire prima dell’assemblea generale prevista a maggio". La partita è anche politica. Il rapporto tra governo di Parigi e dell’Aja non è facile. Nei Paesi Bassi torna spesso la perplessità su un matrimonio sbilanciato, dove la redditività dei francesi è più bassa rispetto a quella dei nordici. "Dal mio punto di vista nego frizioni, lavoriamo a braccetto", commenta Rigail che sostiene di avere un ottimo rapporto con il suo omologo di Klm, Pieter Elbers. "Quello che leggo sui giornali non corrisponde affatto al nostro modus operandi", sottolinea la direttrice di Air France che per puro caso ha un marito di origini olandesi.
Dopo la ripresa dell’estate, Air France ha volato in autunno a circa un terzo della sua capacità. "La nostra strategia - dice Rigail - si riassume in una parola: flessibilità". L’operatività dei voli viene adattata quotidianamente, il buon andamento del cargo ha permesso di mantenere molte tratte. La clientela più resiliente, racconta, è quella chiamata in gergo Vfr, visiting friends and relatives. "Esaminando chi c’era ancora sui nostri voli, in particolare sul lungo raggio, abbiamo visto che sono persone con doppia nazionalità, espatriati per lavoro o studio, che non rinunciano a vedere amici e parenti". La clientela business invece non è ancora tornata. "L’abitudine delle riunioni a distanza potrebbe rimanere anche dopo la crisi. I viaggi d’affari di pochi giorni si faranno di meno o saranno combinati con le vacanze". Sul turismo invece è più ottimista. "A frenare non è tanto la paura del contagio ma il fatto che non ci sia un’armonizzazione e una stabilità su protocolli sanitari e quarantene. Se guardiamo il mercato domestico americano, simile per taglia a quello europeo, notiamo che si sono ripresi più rapidamente perché sono unificati. Quindi siamo fiduciosi che il turismo ripartirà non appena ci sarà anche da noi un quadro normativo unico e stabile".
 
L’ecologia come svolta
L’altra svolta in corso è quella ecologica. Il governo ha condizionato gli aiuti di primavera all’impegno nella conversione ambientale. Entro il 2030 Air France dovrà tagliare metà delle emissioni di CO2 per passeggero/chilometro rispetto al 2005, rinnovando la sua flotta con l’acquisto dei nuovi Airbus 350 e 200 e sviluppando il carburante verde. Il governo ha anche chiesto di cancellare i voli interni che si possono sostituire con meno di due ore e mezza in alta velocità ferroviaria. Rigail è convinta che sia la strada giusta. "Anche i miei figli - confessa - per alcune destinazioni mi dicono che non prenderanno più l’aereo. Non ci mettiamo in competizione con le ferrovie. Penso che non corrisponda più alle aspettative sia dei clienti che dell’opinione pubblica". Air France ha lanciato una collaborazione con le ferrovie francesi Sncf per sviluppare l’intermodalità tra aerei e treni. La navetta Parigi-Bordeaux, ad esempio, sarà sostituita da un’offerta "Treno+Aria". "L’obiettivo è collegare quattordici città francesi ai due aeroporti parigini".
L’alleanza Blue Sky con Delta e Virgin Atlantic è stata messa un po’ in sordina dalla pandemia ma Rigail pensa sia irrinunciabile. "Quando ci sarà la ripresa, vedremo una lotta accanita tra le principali gruppi. Nessun attore può farcela da solo". La trasformazione di Air France sarà lunga. "Abbiamo davanti più anni di ristrutturazione. Nei prossimi due anni la compagnia ha previsto il taglio di 8.500 posti su 45mila, con incentivi per uscite volontarie. Rigail non si sbilancia sulla data in cui il settore delle compagnie aeree potrà tornare alla normalità: "Siamo tutti pagati per sapere che le previsioni hanno una possibilità su due di realizzarsi. Se pensate che qualche anno fa immaginavamo che il prezzo del petrolio sarebbe salito a 200 dollari al barile e oggi è in media 50 dollari... Possiamo organizzare tavole rotonde per capire se la svolta sarà nel 2024 o nel 2029 come ha detto di recente Eurocontrol. Ma in fondo non cambia ciò che dobbiamo fare: superare la crisi e ritrovare il giusto livello di competitività".