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 2020  dicembre 21 Lunedì calendario

Nei Paesi cattolici s’imbroglia di più per un calcio di rigore

Come canta Francesco De Gregori, sarà pur vero che un giocatore non si giudica da un calcio di rigore, ma è altrettanto vero che da un penalty si possono comprendere tante altre cose. Come il grado di religiosità di una società, soprattutto se di fede cattolica.
Lo spiegano in uno studio universitario due accademici spagnoli, Ignacio Lago e Carlos Lago-Peñas, che mettono in relazione le statistiche sui calci di rigore assegnati in oltre ventimila partite, 20mila e 730 per l’esattezza, in trenta campionati nazionali d’Europa in un arco di tempo che va dal 2017 al 2020. La notizia è apparsa sull’iberico La Vanguardia e in Italia l’ha ripresa Il Napolista, quotidiano online politico-calcistico. Lo studio è stato pubblicato su una rivista internazionale di scienze politiche in lingua inglese e il titolo dà una torsione ben precisa ai risultati della ricerca. Cioè: “The cultural origins of cheating in soccer”, “Le origini culturali del baro nel calcio”.
Nonostante il Var, infatti, la propensione a barare per ottenere il fatidico tiro dagli undici metri è ancora alta. Ovviamente i due professori tengono presente sia la sudditanza psicologica degli arbitri verso le squadre più potenti, sia la qualità della squadra. Premesso questo viene fuori che “più è collettivista la cultura di un Paese, più è probabile che i giocatori si lancino intenzionalmente in area per ottenere un rigore”. Collettivista, in questo caso, nel senso dell’umore nonché della fede di una comunità. “Più persone in un Paese pensano che la religione sia importante nella loro vita quotidiana, più frequenti sono le sanzioni nel campionato di calcio corrispondente”. Ergo tra i Paesi in cui si fischiano più rigori ci sono Polonia, Italia, Spagna e Portogallo. Paesi dalle profonde radici cattoliche. La Polonia guida la classifica degli Stati “rigoristi” con un penalty assegnato ogni 230 minuti, cioè ogni due partite e mezza. Non solo. Questa vocazione a cercare machiavellicamente il rigore si sposa pure con la tendenza sociale all’evasione fiscale.
Viceversa, laddove “la religiosità è bassa e regna l’individualismo, l’onestà intrinseca del cittadino è più forte e le persone si assumono più responsabilità delle loro azioni”. In parole povere, in Norvegia o Danimarca si fischia la metà dei rigori del campionato polacco. Ogni 389 minuti, per esempio, in Norvegia, cioè ogni quattro partite. Viene in mente, come un riflesso pavloviano, il celebre studio di Max Weber sull’etica protestante (in particolare calvinista) alla base dell’accumulazione capitalista.
Ma torniamo nell’area cattolica, spesso latina o mediterranea, dove gli autori segnalano in conclusione che questa inclinazione collettiva alla frode fa venire meno il senso di responsabilità personale: “L’inganno dei calciatori in area di rigore è un comportamento disonesto” ma i giocatori “non si sentono responsabili delle loro azioni e attribuiscono la responsabilità del loro imbroglio agli arbitri e agli allenatori”. Insomma un individualismo deleterio, non virtuoso, che s’abbina a un sentimento collettivo (così fan tutti). A quando allora uno studio tra calcio di rigore e peccato originale, passando per la confessione?