Il Sole 24 Ore, 20 dicembre 2020
Ma dove sono andati a finire i vichinghi?
E i famosi vichinghi? Chi erano, da dove venivano, e dove sono andati a finire? Uno studio delle Università di Cambridge e Copenaghen, sui DNA provenienti da 440 sepolture, dalla Scandinavia alla Groenlandia, ci dà qualche indicazione interessante. Ma intanto, conviene ridimensionare alcuni miti. Prima di tutto, nei siti archeologici non c’è traccia dei proverbiali elmi con le corna, peraltro (immagino) scomodissimi quando si sta ammassati in una nave a contatto di gomito. E poi chi ha visitato il museo di Oslo sarà rimasto, come me, sorpreso dalle piccole dimensioni delle armature. I vichinghi non erano le creature colossali che ci propina la tv; oddio, rispetto ai denutriti europei del medioevo forse avevano qualche centimetro in più, ma noi li avremmo guardati dall’alto in basso. E infine, meglio diffidare delle descrizioni, riprese con entusiasmo dai costumisti cinematografici, dei vichinghi come selvaggi luridi e scarmigliati. In battaglia ci si spettina, si sa, ma nei siti archeologici sono stati trovati, oltre alle famose spade a doppio filo, pettini e sapone. Il problema è che, a parte le iscrizioni runiche su pietra, i vichinghi ci hanno lasciato poco da leggere. Quello che sappiamo di loro ci arriva da cronisti inglesi e scozzesi, comprensibilmente sconvolti dagli effetti delle loro scorribande.
Non a caso, anche la parola vichingo l’hanno inventata gli inglesi: compare per la prima volta in un manoscritto del X secolo, il codice di Exeter. Sono i pirati del nord che, a bordo delle loro navi, le drakkar, terrorizzano le coste britanniche e francesi fra l’VIII e l’XI secolo, spingendosi fino al nord della Spagna e all’attuale Russia. Anche le date che delimitano l’epoca vichinga le hanno scelte gli inglesi: dal 793 (quando devastano il monastero di Lindisfarne) al 1066 (quando vengono sconfitti a Hastings): due secoli e mezzo in tutto. In questo tempo, i vichinghi non hanno solo seminato morte e distruzione; hanno colonizzato le Shetland, le Orcadi, l’Islanda e la Groenlandia; si sono spinti nel Mediterraneo e fino al Caspio; e sono arrivati per primi nel continente americano: era gente che sapeva navigare.
In ogni caso, come si chiamassero fra loro, e anche se avessero un senso di una loro identità, non lo sappiamo. Nel tempo la parola vichingo si è eclissata, rimpiazzata da norvegesi e danesi (che però non indicano esattamente i popoli di Norvegia e Danimarca come le intendiamo oggi), o anche, nel Baltico, ruotsi, i rematori, (da cui forse deriva la parola Russia) finché è rispuntata in epoca romantica, nel cosiddetto revival vichingo. Da allora, leggende e realtà si sono mescolate. I tristi buontemponi barbuti con elmi dalle lunghe corna e improbabili calzari, che si ubriacano di birra nelle sagre paesane, sono l’ultima propaggine del revival vichingo.
Gli studi del DNA antico si assomigliano un po’ tutti. Si contattano gli archeologi, si discute con loro; si raccolgono campioni di ossa, e meglio se c’è il cranio, perché è nell’osso temporale che il DNA si conserva più a lungo; i genetisti estraggono il DNA che riescono a estrarre, e lo leggono; si immagazzinano i dati, miliardi e miliardi di bytes, nelle memorie dei computer. E poi si fanno confronti statistici, fra i diversi individui. Confrontando i DNA di un certo periodo con quelli dei periodi precedenti e successivi, e misurando le differenze fra le diverse e regioni geografiche, ci si fa un’idea, a volte anche piuttosto precisa, di come la gente si sia spostata e rimescolata. Nel DNA sta scritta la storia delle migrazioni umane, e più lo si studia più se ne trovano.
Il gruppo di genetisti diretto da Eske Willerslev ha dimostrato che, intorno al V secolo, gli antenati dei Vichinghi sono arrivati dal sud, cioè dalla Germania, e dall’est, cioè dalla regione baltica. È logico: le terre del nord sono inospitali, poco adatte all’agricoltura, un po’ più all’allevamento; sono state colonizzate dall’uomo in tempi relativamente recenti. Proprio la difficoltà a mantenere una popolazione in crescita, in un ambiente povero di risorse, può essere stata la molla che ha spinto i vichinghi a cercare forme di sostentamento, diciamo, poco tradizionali, come il saccheggio. La mancanza di spazio, unita alle capacità nautiche e belliche, può aver creato i presupposti per una politica di espansione basata sulla pirateria. Le prime comunità vichinghe non erano tutte uguali. Per esempio, nell’isola di Gotland, a est della Svezia, avevano caratteristiche simili a quelle trovate nei DNA preistorici dell’attuale Estonia, quindi non proprio dietro l’angolo; invece altre comunità svedesi sono più vicine alle popolazioni antiche della Germania, da cui probabilmente provengono.
Insomma, il popolo vichingo si forma a partire da gruppi preesistenti, che non stavano tutti nello stesso posto, e le sue comunità non sono tutte uguali. Allo stesso modo, quando i vichinghi si espandono non lo fanno tutti insieme. Nelle sepolture vichinghe in Islanda, Groenlandia e Irlanda troviamo una somiglianza con le comunità stanziate lungo la costa norvegese, mentre a quanto pare le spedizioni in Inghilterra e verso la Russia partivano dall’attuale costa danese: quelli che hanno fondato Dublino non sembrano parenti stretti di quelli che hanno conquistato York, che invece assomigliano di più a quelli che hanno risalito il corso del Volga. Nel corso delle loro spedizioni, si imbarcavano insieme gruppi imparentati fra loro: nei territori conquistati troviamo spesso sepolti insieme fratelli e cugini. In Groenlandia, dove gli archeologi datano la presenza vichinga fra l’anno 1000 e il 1400, il DNA suggerisce che fossero i discendenti di quelli che, nel IX e X secolo dalla Norvegia si erano spostati in Islanda. Quanto a dove siano andati a finire, lo studio del gruppo di Willerslev dimostra poi un certo livello di continuità genetica fra le comunità vichinghe e quelle attuali, un po’ in tutta la Scandinavia. In questo senso, ma solo in questo senso, i vichinghi sono ancora fra noi.