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 2020  dicembre 20 Domenica calendario

I rischi con la mutazione del virus

L’allarme sui visoni, che ci hanno ritrasmesso un virus leggermente mutato. La variante del sud-est inglese, che ora il premier Johnson cerca di tenere confinata. L’annuncio che anche il Sudafrica ha osservato un suo ceppo di Sars-Cov2 molto contagioso. E prima ancora la famosa mutazione D614G, diffusa da febbraio in Europa del Sud (e in Italia) e oggi dominante ovunque, capace di replicarsi 8 volte più velocemente del virus originale di Wuhan. Con la sua contagiosità ha alimentato una seconda ondata più intensa della prima, ma per fortuna non ha messo a rischio l’efficacia del vaccino. Il pericolo – per ora solo un’eventualità – esiste invece con la mutazione inglese. Lo spiega Andrea Cossarizza, immunologo all’università di Modena e Reggio Emilia.
Perché tanti allarmi di recente sulle mutazioni del coronavirus?
«Più persone si infettano, più copie del virus vengono generate, più è alta la probabilità di mutazione. È un virus e per quanto sia preciso il suo sistema di controllo della replicazione, non può essere perfetto. Le mutazioni, per quanto relativamente rare, sono inevitabili».
Nella variante inglese sono state viste tre mutazioni. Che vuol dire?
«Credo - anzi spero - che sia un fenomeno casuale».
Quanto deve inquietarci la notizia di una nuova variante?
«È normale che un virus muti.
L’importante è che non lo faccia troppo spesso, come Hiv. E che a variare non siano le regioni contro cui un vaccino induce anticorpi».
Una delle variazioni osservate in Gran Bretagna riguarda la proteina spike, la punta della corona del coronavirus, nonché il bersaglio dei vaccini. È un problema?
«Non possiamo ancora saperlo.
Immaginiamo di avere una mano aperta ornata da molti anelli, che rappresenta il virus. Gli anticorpi potrebbero legare la base delle dita.
In questo caso, se un anello cambia, l’anticorpo non riesce a legare più.
Ma se l’anticorpo lega la punta delle dita e uno degli anelli cambia alla base, non abbiamo problemi. Gli anelli possono cambiare finché si vuole. Per capire esattamente cosa accade nella nostra mano, però, servirebbero più dati scientifici. Al momento siamo fermi alle ipotesi».
Ma quanto è concreto il rischio che i vaccini non funzionino?
«Il rischio c’è, per quanto minimo, e bisogna tenere alta l’attenzione anche dopo la vaccinazione».
E se una mutazione inficiasse l’efficacia del vaccino?
«Ci sono vari vaccini allo studio. Molti faranno produrre anticorpi verso diverse parti del virus. Tornando all’esempio della mano, si possono formare anticorpi che riconoscono la base delle dita, la parte intermedia con o senza anelli, la parte superiore, la punta. Mi sembra improbabile che una sola mutazione impedisca a tutti gli anticorpi indotti da un vaccino di funzionare».
Si dice che quando inizieremo ad avvicinarci all’immunità di gregge il virus cercherà una scappatoia, proverà a mutare per sopravvivere.
«È un aspetto quasi evoluzionistico, legato alla pressione selettiva. I virus vogliono sopravvivere e cercano di evadere dal sistema immunitario favorendo la replicazione delle varianti che sfuggono al riconoscimento da parte degli anticorpi. Credo che il problema possa essere risolto con vaccini con abbiano un ampio spettro d’azione, eventualmente non solo diretti contro la spike e che facciano intervenire più tipi di risposta immunitaria, non solo anticorpi, ma anche cellule T».