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 2020  dicembre 19 Sabato calendario

Su "In posa, l’arte e il linguaggio del corpo" di Desmond Morris (Johan& Levi)

Chissà se i fascisti avrebbero adottato il saluto con il braccio teso se avessero saputo che era stato inventato poco prima dalla vituperata democrazia americana. Fu Francis Bellamy, nel 1892, a proporlo in tutte le scuole statunitensi come simbolo di unità nazionale dopo le ferite della guerra civile. Durante l’esecuzione dell’inno gli alunni dovevano tenere la mano destra «allungata con grazia, il palmo rivolto verso l’alto della bandiera e lasciata fissa in tale gesto per tutta la durata del momento solenne». Come gli storici hanno spiegato da tempo, l’impero dei Cesari evocato da Mussolini non ha colpe nella genesi del saluto fascista: infatti non ve n’è traccia nelle statue e negli affreschi dell’epoca. La leggenda che attribuisce il gesto a centurioni e gladiatori fu partorita dai pittori a fine Settecento e diffusa attraverso quadri celeberrimi come Il giuramento degli Orazi ( David, 1784) e Caesar! Morituri te salutant (Gérôme, 1859). Contaminò persino le Olimpiadi che ne fecero, per un breve periodo il saluto ufficiale. I Giochi vi rinunciarono con l’avanzare dell’incubo nazista, così come fece, naturalmente, l’America: nel 1942 Roosevelt lo sostituì con la mano sul cuore.
Il grande fake del saluto delle camicie nere è una delle tante storie raccontate da Desmond Morris in In posa, l’arte e il linguaggio del corpo ( Johan& Levi), un libro che unisce le due passioni dell’autore: il celebre zoologo ed etologo inglese è infatti anche uno stimato pittore, uno degli ultimi surrealisti, e in questo volume legge e interpreta le posture umane ( già esaminate nel 1977 in L’uomo e i suoi gesti) attraverso lo specchio dell’arte. Come mai, ad esempio, Napoleone viene così spesso rappresentato con la mano destra infilata nel panciotto? Nel corso del tempo le ipotesi si sono sprecate: un’ulcera, un cancro, un braccio ferito da nascondere, un anello segreto, pegno d’amore, da celare a tutti. La spiegazione è assai più semplice: come dimostrano molti ritratti d’epoca, la posa era molto diffusa, ed era persino prescritta in un galateo del ’ 700 ( I rudimenti della condotta gentile, di François Nivelon) che la indicava come segno di «audacia virile temperata dalla modestia»). Anche gli antichi greci consigliavano ai retori di parlare in pubblico senza gesticolare troppo, tenendo una mano sotto la tunica. Una statua di Solone a Salamina, descritta da Eschine di Macedonia, ne sarebbe la prova. Il libro corre attraverso 61 brevi capitoletti che vanno dalle figure dell’inchino a quelle della prosternazioni (lo sdraiarsi a terra comune a molte religioni) dalle benedizioni (conoscete la differenza tra quella cattolica latina e quella ortodossa?), fino a smorfie, minacce e insulti: spiegando, ad esempio origini e senso della linguaccia, attributo di molti diavoli, o del mostrare le terga, provocazione di un soldato romano sui bastioni di Gerusalemme, che causò una rivolta nel I secolo d.C.
La carrellata è facile e gradevole, veloce e ampia. Fin troppo: a volte si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un enciclopedico Lo sapevate che?, la famosa rubrica della Settimana enigmistica. I fanatici di Star Trek – ad esempio – probabilmente sanno che il saluto con la mano a V del dottor Spock è stato ispirato all’attore che per primo lo ha interpretato da un rito ortodosso ebraico. Ma lo sapevate che un tessuto Nazca del II o III secolo dopo Cristo immortala uno strano essere che compie lo stesso gesto? Se l’autore ha l’aria di divertirsi con le origini dei costumi vulcaniani, alcune voci sono però troppo vaste per essere affrontate in poche righe. Il tema del nudo nella storia dell’arte, argomento infinito per il quale non basterebbe un libro intero, viene liquidato in sole quattro pagine. Si viaggia insomma tra un bric- à- brac di curiosità, spigolature, vaghi cenni sull’universo e vera sapienza d’etologo. Ma al novantunenne Desmond Morris, grande divulgatore e scrittore assai prolifico (60 libri in 60 anni sono un record) si può perdonare uno sguardo a volte un po’ troppo sbrigativo. E forse non si può chiedere di più a un libro in cui la parte iconica pesa più di quella scritta: 231 riproduzioni di quadri e sculture su 320 pagine. Ma sono belle riproduzioni, ben stampate su una magnifica carta. In posa va preso per quello che è: l’occasione di sfogliare l’album di famiglia dell’arte – non solo occidentale – in compagnia di un vecchio saggio che ha molte storie da raccontare.