Il Messaggero, 18 dicembre 2020
Intervista a Filippo Sorcinelli, lo stilista dei cardinali
Filippo Sorcinelli crede molto. Nel senso che afferma di essere un cattolico praticante, ma con pari convinzione racconta di avere molta fiducia in se stesso e nelle sue capacità. Anzi, spiega il personale successo a livello sartoriale, ma non solo, come «un dono», parafrasando senza troppi giri di parole la parabola cristiana della distribuzione dei talenti. Lui, 46 anni, originario di Mondolfo, borgo in provincia di Pesaro Urbino, non sa dire esattamente come un giorno si sia ritrovato a confezionare paramenti sacri, senza particolari studi o esperienze alle spalle, o a creare profumi dai nomi evocativi, come Scusami, Epicentro o Io Non Ho Mani che Mi Accarezzino il Volto. Fatto sta che da circa dieci anni confeziona, presso il suo atelier, anche gli indumenti liturgici indossati dai papi Benedetto XVI e Francesco, che ha scelto Sorcinelli anche nella sua messa inaugurale del 2013. Senza dimenticare un’ampia clientela di prelati.
Com’è iniziato tutto?
«Da bambino, quando avevo 5 anni, accompagnavo mia mamma che faceva le pulizie nella chiesa del nostro paese. Ero curioso e mi guardavo intorno: ero attratto dalla sacrestia, dove aprivo i vari armadi ed ero affascinato dalle vesti per le celebrazioni. E, poi, mi piaceva tantissimo l’organo. Appena potevo salivo sulla balconata dove stava anche solo per guardarlo».
Lei, in effetti, ha iniziato il suo percorso proprio suonando l’organo.
«Sì, e non l’ho mai abbandonato. L’ho iniziato a studiare da solo ad appena 6 anni. Poi, ho frequentato la scuola di musica locale. Ma a un certo punto non mi bastava e sono andato al conservatorio, ma mi sono iscritto anche alla scuola d’arte fino ad approdare al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma».
Una vita piena?
«Sono legato alla fede e per me essere credente è avere una missione, essere al servizio di qualcosa di superiore e sublimare la bellezza, che ho sempre cercato anche con la pittura. Per me questo non è solo un lavoro».
Quando ha iniziato a dedicarsi alla sartoria?
«Nel 2001 ho ricevuto la telefonata di un amico. Avevamo studiato a Roma insieme e mi annunciava che da lì a 6 mesi sarebbe diventato prete. D’impulso gli proposi che avrei pensato io al suo guardaroba».
Ma si è offerto senza averlo mai fatto prima?
«Esattamente. Ma sentivo di poterlo fare tranquillamente. Era come un dono che avevo ricevuto. Così sono andato da mia zia e da mia sorella, sarte del paese e che tuttora lavorano con me, e abbiamo pensato a tutti i capi che servivano al mio amico. Lui è rimasto molto contento e devo dire che da lì è iniziato un passaparola che mi ha portato tanti clienti».
Prima di arrivare ai papi chi ha lanciato la sua carriera?
«Sicuramente il cardinale Angelo Bagnasco. All’epoca era il vescovo di Pesaro e si rivolse a me proprio pochi mesi dopo il mio amico e l’ho seguito fino al pensionamento, passando per quando era arcivescovo di Genova e ordinario militare. In quei tempi ci fu la strage di Nassiriya e fu lui a celebrare i funerali di Stato in diretta tv. Diciamo che quei paramenti li hanno visti praticamente tutti».
Allora ha aperto la sua ditta?
«Sì, LAVS, che sarebbe l’acronimo di Laboratorio Atelier Vesti Sacre, ma che significa anche lodi in latino».
Cosa ha provato quando è stato chiamato per vestire i papi?
«Ero e sono certo di fare cose eccellenti e questo mi ha sempre rassicurato. Però è chiaro che quando arriva un certo tipo di telefonata l’emozione c’è. Ma anche tanta gratificazione, perché hai toccato il gradino più alto della gerarchia».
C’è differenza tra i due papi?
«Lo stile è importante, perché deve riflettere e sottolineare il messaggio del pontefice. Benedetto XVI ha un background europeo e più simile al nostro. È un uomo erudito che ama le arti, la musica e la storia dell’arte e la bellezza. Per lui esprimere la fascinazione di Dio era la massima priorità. Francesco è diverso, preferisce abiti meno decorati, che riflettano la sua modestia, ma che si concentrino anche maggiormente su di lui. Il simbolismo è comunque ovunque e sempre presente».
Lei crea anche profumi. L’ultimo ha un nome particolare, Scusami.
«Sono nati come completamento dell’esperienza sensoriale e perché amo le arti, senza confini. Scusami è dovuto al fatto che facciamo sempre fatica a pronunciare quella parola. Ha un sentore floreale, ma che ha subito un po’ l’appassirsi del tempo».