La Stampa, 18 dicembre 2020
Quanto inquina lo shopping online
Confinati a casa dal Covid, ci siamo salvati con gli acquisti online. La tastiera è diventata insieme uno spiraglio di speranza e di svago, tanto per i generi di prima necessità, quanto per quelli di conforto. Il sottoprodotto a cui non abbiamo prestato abbastanza attenzione, però, è l’aumento della plastica che avvolge i pacchi, esploso durante il 2020 e destinato a sfondare il tetto della sopportazione durante le feste natalizie. Un paio di studi ci riportano ora sulla Terra, per capire i danni enormi che stiamo facendo e suggerire rimedi.
L’inquinamento provocato dalla plastica, tanto utile quanto indistruttibile, è un problema annoso. La rivista Science stima che andando avanti di questo passo, entro il 2040 nel nostro ambiente ce ne saranno 1,3 miliardi di tonnellate. Sempre Science, in uno studio pubblicato a settembre, stima che tra 19 e 23 milioni di tonnellate cubiche di plastica, ossia l’11% dei rifiuti globali generati nel 2016, sono finite nell’ecosistema acquatico, e saliranno a 53 milioni nel 2030.
Partendo da questo allarme Oceana, non profit dedicata alla protezione dei mari, ha realizzato un rapporto intitolato «Amazon’s Plastic Problem Revealed», che analizza l’impatto della compagnia leader globale del commercio online. Nel 2019 l’azienda fondata da Jeff Bezos ha usato 465 milioni di pound di plastica, ossia 211 milioni di chili, consegnando 7 miliardi di pacchi, cioè grosso modo uno per persona al mondo. I rifiuti prodotti basterebbero ad avvolgere circa 500 volte l’intera circonferenza del pianeta, ad esempio sotto forma di air pillow, i cuscini usati per proteggere le merci. Oceana stima che 22,44 milioni di pound, quindi 10,18 milioni di chili, sono finiti in acqua, ossia l’equivalente di un camioncino per le consegne ogni 70 minuti.
Amazon ha risposto che queste stime sono sballate, perché il suo consumo reale è circa un quarto. Anche se le cose stessero davvero così, si tratterebbe comunque di una quantità di plastica enorme, destinata ad aumentare in maniera sostanziale nel 2020, perché quest’anno i ricavi della compagnia di Bezos sono saliti del 40%. L’azienda prevede che «la stagione delle feste sarà la più grande di sempre per noi», e quindi il Natale contribuirà all’inquinamento. Di questi tempi non abbiamo certo bisogno di aggiungere sensi di colpa alle angosce che già ci attanagliano, soprattutto per qualche regalo scambiato allo scopo di sollevarci il morale, però la realtà è questa e impone di farci i conti.
In totale Oceana stima che ogni anno finiscono in acqua 15 milioni di tonnellate di plastica, ossia due camion dell’immondizia al minuto, e 900 specie marine le ingeriscono, tra cui il 90% degli uccelli acquatici e il 52% delle tartarughe. Amazon sostiene di essere molto impegnata a limitare il suo impatto, ma gli autori del rapporto hanno fatto un sondaggio tra i clienti Prime, e hanno scoperto che solo l’1,67% segue le raccomandazioni per il riciclaggio.
I rimedi ci sarebbero, ma non sono facili. La Cina, che ha scavalcato gli Usa nella graduatoria mondiale delle emissioni di plastica, ha puntato molto su quella biodegradabile. Ben 36 compagnie hanno programmato di costruire impianti per produrla, arrivando a 5 milioni di tonnellate all’anno nel 2025. Uno studio di Greenpeace però ha dimostrato che è una soluzione insufficiente, perché questa plastica non si degrada da sola nell’ambiente, e ha bisogno di pratiche spesso non seguite e inquinanti. Chi la usa però si sente al sicuro, e quindi finisce per buttarla nell’ambiente ancora di più.
Proprio Amazon ha mostrato una possibile via d’uscita, annunciando il 29 giugno scorso di aver eliminato la plastica monouso in India. E’ solo un primo passo, però, che andrebbe replicato in tutto il mondo, mentre Science resta convinta che «per evitare un enorme accumulo nell’ambiente è urgentemente necessaria un’azione globale coordinata per ridurre il consumo di plastica; aumentare il tasso di riutilizzo, la raccolta dei rifiuti e il riciclaggio; l’espansione di un sistema sicuro per lo smaltimento; e accelerare l’innovazione nella catena del valore».