la Repubblica, 18 dicembre 2020
Babbo Natale contro Jeff Bezos (un racconto)
Sotto la slitta di Babbo Natale, la Danimarca stava bruciando. Quindici milioni di visoni erano stati dati alle fiamme perché negli allevamenti non dilagasse il contagio. La partenza per l’Italia era stata anticipata in modo da arrivare entro il 20 dicembre, prima che scattasse il coprifuoco e fosse vietato spostarsi tra le regioni. I regali da distribuire non erano tanti, nel 2020 erano arrivate pochissime lettere: i bambini, ormai, scrivevano direttamente ad Amazon o al Presidente del Consiglio. I Grandi giocattolai italiani avevano comprato intere pagine di pubblicità sui quotidiani per chiedere al Governo di riaprire i negozi e Tommaso Z, un bambino di cinque anni di Cesano Maderno, Milano, aveva scritto al Primo ministro per chiedergli «un’autocertificazione speciale» per Babbo Natale. In effetti, Babbo Natale l’autocertificazione per «comprovate esigenze lavorative» l’aveva in tasca, ma c’era rimasto male che il bambino non avesse scritto a lui. E poi, esisteva davvero quel bambino o era un’invenzione del Ministro della Propaganda? La verità era che il vecchio cominciava a sentirsi inutile. Molti genitori accompagnavano i figli nei negozi per farsi un giro e ottenere il cashback del 10 per cento previsto dal Decreto n. 156 20/11/2020 «recante condizioni e criteri per l’attribuzione delle misure premiali per l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici». L’app era stata scaricata in massa, non come Immuni. Dove il tracciamento aveva fallito, lo sconto trionfava.
Tutti gli altri si rivolgevano a Jeff Bezos, il padrone di Amazon, che grazie alla pandemia stava facendo soldi a palate. In Italia entro la fine dell’anno, aveva calcolato il Politecnico di Milano, gli acquisti online avrebbero fatturato 22,7 miliardi di euro, il 26 per cento in più dell’anno prima. Mentre la slitta trasvolava le Alpi, Babbo Natale sospirò sconsolato: ormai Amazon poteva contare soltanto in Europa su 1,2 milioni di impacchettatori oltre a centinaia di migliaia di consegnator in outsourcing, un esercito in grado di mandare in malora il Natale per sempre. Per questo, l’ufficio centrale della Christmas Srl aveva sondato Bezos per una partnership, ma Babbo Natale si era opposto. Era stato il primo rider della storia e si sentiva solidale con i ragazzi che stavano scioperando in una ventina di città italiane per chiedere di non essere più pagati a cottimo, che facesse vento o tempesta. Nei pressi di Rovigo il vecchio si affacciò: davanti al Centro di distribuzione di Amazon erano parcheggiati i camper in cui abitavano gli addetti alla logistica che, con una paga di 9 euro all’ora, non potevano permettersi niente di meglio.
La slitta atterrò a Milano in un pomeriggio di pioggia, perché a Milano nei giorni di Natale non nevica mai. Il sole era già tramontato. Forse non era mai sorto. Davanti al Duomo Babbo Natale si fermò a guardare il grande albero di Natale della Coca-Cola e provò una fitta al cuore. Erano stati loro, negli anni Trenta, i primi a usarlo come testimonial. La Coca-Cola gli aveva rubato la strategia di comunicazione, Amazon il modello di business. Per le strade le persone gli lanciavano occhiate distratte e tiravano dritto senza riconoscerlo. Probabilmente lo scambiavano per un senzatetto perché non aveva la mascherina. Le luci delle luminarie si confondevano con quelle delle sirene delle ambulanze. Come i vivi con i morti, che rimanevano sullo sfondo, confusi nel paesaggio. In attesa che calasse la notte il vecchio decise di sedersi su una panchina davanti alla Scala. I passanti gli sembravano tristi e febbrili. Era come se l’impossibilità di festeggiare il Natale insieme, decretata dal Dpcm del 3 dicembre, avesse acceso in ognuno la consapevolezza del vero significato della festa. Il divieto ritrasformava l’abitudine in rito e accresceva il desiderio di stare vicini, perfino ai parenti più noiosi, quelli che in tempi normali si sarebbero evitati come una iattura.
Per far passare il tempo Babbo Natale tirò fuori il telefonino. Doveva leggere la rassegna stampa sulla situazione italiana preparata dagli elfi dell’ufficio comunicazione. I giornali scrivevano cose da non credersi. Per convincere il popolo a non assembrarsi, il Presidente del Consiglio aveva detto all’assemblea dell’Anci che «il Natale è un momento spirituale, in tanti non viene bene. Veglioni, festeggiamenti, baci e abbracci non saranno possibili. Dobbiamo prepararci a un Natale più sobrio, anche se potremo scambiarci doni e permettere all’economia di crescere». Il timore era che gli italiani avrebbero approfittato del distanziamento per risparmiare sui regali. Il presidente della Regione Liguria era insorto: «I venti giorni delle feste valgono come tre mesi del fatturato annuale!». Su Facebook un politico con la barba l’aveva buttata sul melodrammatico: «Spero che non rubino il Natale ai bambini». Su Twitter una politica senza barba si era buttata sui migranti: «Natale (di sacrifici) senza i tuoi, sbarchi con chi vuoi». Prudentemente il Papa aveva anticipato alle 6:30 del mattino la tradizionale visita solenne alla Colonna dell’Immacolata di piazza Mignanelli a Roma e, senza fare tante storie, aveva annunciato che la messa di Natale sarebbe cominciata alle 19:30.
Un piccione si posò vicino ai piedi di Babbo Natale sperando in qualche briciola, ma lui non se ne accorse perché stava leggendo sull’iphone che nel megastore Tigotà di Millesimo, Savona, un pensionato di Albissola era stato arrestato per avere rubato cibo per gatti e creme di bellezza da regalare a sua moglie. I poveri erano aumentati. Ovunque c’erano file per il pane. La maggior parte dei titoli riguardavano, però, i gesti e l’igiene, come se il corpo in quell’epoca di smaterializzazione digitale avesse riconquistato la sua antica centralità: «Andare dal barbiere in un altro comune? In Toscana è consentito»; «Niente abbracci e cin cin»; «Meglio in piedi che seduti. Il virologo consiglia: togliere la Ffp2 solo per mangiare, e rimetterla tra le varie portate»; «Non aggiungere un posto a tavola»; «Piatti e bicchieri di plastica, vestiti pesanti per aprire le finestre». «Abolite i canti di Natale. Spargono droplets». Qualcuno proponeva tombolate su Zoom.
Sarebbe stato un disastro per tutti, tranne che per Amazon. La Coldiretti aveva lanciato l’allarme: «Il settore del vino e degli spumanti rischia di essere colpito per la riduzione dei commensali che, l’anno scorso, contavano in media 9 persone». «Ci saranno 70 milioni di chili tra pandori e panettoni, 74 milioni di bottiglie di spumante, 6 milioni di chili tra cotechini, zamponi, frutta secca, pane, carne, salumi e formaggi in meno sulle tavole degli italiani durante le feste». Le grandi aziende si stavano attrezzando: Bauli e Melegatti avevano lanciato servizi di e-commerce di pandori e panettoni personalizzati. E così anche qualche produttore artigianale, come la Bedussi di Brescia. Le piattaforme di delivery si erano buttate a pesce sull’affare. Era stato lanciato, per esempio, «il Deliveroo Christmas shop by Roberto Rinaldini, il primo virtual brand dedicato al Natale, nato dalla collaborazione con il Maestro pasticcere». Babbo Natale, che come imprenditore era una frana, pensò per un attimo di produrre panettoni monoporzione, ma scartò l’idea e proseguì la lettura.
Anche il settore florovivaistico soffriva: «La strage delle stelle di Natale», aveva titolato Repubblica il 9 dicembre; «A rischio 8 milioni di alberi e stelle di Natale», La Nazione il 20 novembre. Per il presidente di Coldiretti Toscana i divieti avrebbero favorito la vendita di «piante di plastica cinesi che non solo consumano petrolio e liberano gas a effetto serra, ma impiegano oltre 200 anni prima di degradarsi nell’ambiente». I presepi viventi non se la passavano meglio degli alberi: a Treviso, Farigliano, Crava, Costigliole Saluzzo, Tricase, Alberobello e Pianvigliale li avrebbero fatti online, a Frabosa Sottana erano stati sostituiti da un concorso, a Cervo e Rivisondoli da statue e sagome in legno. In pochi avevano resistito, per esempio Agnone, patria del «presepe vivente più antico del Molise». Babbo Natale ripose il telefono e si rimise le moffole, poi si alzò dalla panchina con un macigno sullo stomaco. Insieme alle serrande di bar e ristoranti, era scesa la notte. Sulle finestre si riverberavano gli ultimi riflessi di televisori e telefonini, prima che intorno alle 10 tutto si spegnesse. La pandemia aveva travolto i cicli del sonno e della veglia. Gli umani si addormentavano e si svegliavano prima, o dopo, dormivano a pezzi e facevano sogni a colori.
Date le scarse richieste, in meno di un’ora Babbo Natale aveva finito la Lombardia, ma prima di volare in un’altra regione, decise di portare un regalo anche a Tommaso Z, il bambino di Cesano Maderno, anche se forse non esisteva e gli aveva fatto lo sgarbo di non scrivere a lui. Sul tetto del condominio non c’erano comignoli. Non c’erano mai quando servivano. Entrò dalla porta con il passe- partout. In casa le luci erano spente, per fortuna dormivano tutti. Cercando il posto giusto dove lasciare il regalo, il vecchio avvertì un movimento, qualcosa che brillava, le luci di un albero sintetico. Si spinse in punta di piedi nella stanza, fino al piccolo abete. Sul pavimento c’erano davvero «il lattino caldo, i biscotti e l’igienizzante» promessi nella lettera. Il vecchio sorrise nel buio e si chinò, quando sentì una voce sottile: «Chi sei tu?». Si voltò lentamente, il bambino si era messo a sedere sul letto e lo fissava con due occhi che brillavano più delle luci. «Sono Babbo Natale…», rispose. «Mettiti subito la mascherina!», ordinò il piccolo. «Non posso, l’ho dimenticata in Norvegia. Però ieri ho fatto il tampone…». La voce del bambino si fece severa: «Ma non lo sai che non basta? Potresti essere positivo lo stesso! Non mi pare responsabile da parte tua entrare nella stanza di un bambino rischiando di infettarlo e di infettarti». Babbo Natale non sapeva che dire. Balbettò: «Scusami, è che non credevo che tu esistessi davvero». Il bambino a quel punto sorrise: «Io, sì. Che tu esistevi l’ho sempre creduto».
N.B. A parte Babbo Natale, che esiste, tutto il resto è vero.