Corriere della Sera, 18 dicembre 2020
La pazienza, Leopardi e i politici
È sconcertante constatare la frenesia nevrotica generale in una fase che invece richiederebbe calma, non solo perché ci avviciniamo alla «Stille Nacht» natalizia. Un utile invito a riflettere sulla pazienza nel «tempo sospeso» della pandemia, anzi un invito a esercitare la pazienza è quello che proviene da Antonio Prete, studioso di Leopardi oltre che poeta. Il quale in un intervento su Doppiozero.it cita appunto lo Zibaldone: la pazienza è cura di sé, «una certa quiete dell’animo nel patimento». Non per nulla ha la stessa etimologia della compassione, e cioè va ricondotta alla sofferenza. E all’attesa. Attesa tra un prima che appare chiuso e un dopo incerto e imprevedibile. L’aspetto più sorprendente è che, avverte Prete, solo nell’accettazione di questa «aria ferma» e dunque nella capacità di pazientare ci apriamo alla speranza di un cambiamento, soltanto in quella quiete leopardiana possiamo immaginare e ri-progettare il futuro. Infatti, la pazienza non va confusa con la passività, perché la pazienza, pur nell’accettazione, non esclude affatto un atteggiamento critico. Per queste buone ragioni, sarebbe bene che i politici usassero di più la parola «pazienza» e soprattutto che la esercitassero come l’altra faccia della saggezza. E infatti non c’è da meravigliarsi del fatto che la «pazienza» è affiorata più volte tra le raccomandazioni di Angela Merkel, accostata alla solidarietà, cioè all’attenzione e alla cura non solo verso di sé ma verso gli altri. Se la qualità dei politici si misura anche (soprattutto?) dall’uso delle parole, pensate a quante volte, viceversa, in Italia avete sentito urlare da diversi pulpiti, negli ultimi giorni, che la pazienza è finita. E proprio nel momento in cui, appunto, bisognerebbe dotarsi di calma strategica e di attesa paziente, qualità dei forti. Una virtù «non eroica» la chiama Prete, o semmai una forma di «eroismo nascosto, dimesso, privo d’orgoglio e di esibizione». Già, ma se togliete l’esibizione muscolare dalla politica di queste settimane, che cosa rimane? L’isteria dei deboli (di senno).