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 2020  dicembre 17 Giovedì calendario

Ramin Bahrami: «La mia malattia segreta»

«Sono più di vent’anni che convivo con lei, e visto che ormai siamo una coppia di fatto, ho pensato fosse il momento di svelarne l’esistenza» sorride ironico Ramin Bahrami, 44 anni il 27 dicembre, pianista iraniano di fama internazionale, grande interprete bachiano. 
E come si chiama questa sua compagna di vita? 
«Il suo nome è complicato come il suo modo d’agire: encefalomielite acuta disseminata. Più nota come sclerosi multipla. Parole ardue da dire e anche da pensare». 
È stata dura vivere tutto questo tempo con un simile segreto? 
«All’inizio non volevo ammetterlo neanche a me stesso. Se a poco più di 20 anni ti dicono che sei malato di un morbo che spaventa fin dal nome, stenti a crederlo. C’è voluto molto tempo per riuscire ad accettare quella sentenza, imparare a considerare la malattia non come un castigo del Cielo ma addirittura un’amica. Un’amica difficile, esigente, con cui fare i conti ogni giorno». 
Quando se n’è accorto? 
«Avevo poco più di 20 anni, in pieno avvio di carriera. Ho iniziato a sentirmi stanco, i muscoli mi facevano male, non riuscivo a dormire per il dolore. All’inizio hanno pensato a un problema di pressione alta… Poi una serie di esami ha evidenziato la vera natura. I medici sono stati chiari: la malattia è seria ma si può curare, e con le debite accortezze continuare a svolgere una vita pressoché normale». 
È stato così? 
«Sì, ma non è stato facile. Ho dovuto cambiare stile di vita, nutrirmi in modo equilibrato, vincere la mia innata pigrizia e camminare almeno un’ora al giorno. E poi le cure. Qui in Germania, dove vivo, ho trovato medici bravissimi. Su una forma non aggressiva come la mia, interferone e cortisone fanno miracoli. In questi casi la diagnosi precoce è fondamentale. Mio fratello, che soffre dello stesso male è stato meno fortunato». 
Quando ha iniziato a parlarne? 
«Una decina d’anni fa, ma solo con gli amici più stretti. Compresi quelli della mia casa discografica, della mia casa editrice e la mia agente. Voglio ringraziarli per avermi supportato. E adesso ho deciso di dirlo a tutti per mandare un messaggio di speranza. Questo male non è la fine. Anzi un nuovo inizio. È un’amica imprevedibile da alti e bassi, come la vita». 
Strano che la chiami così. 
«Ci ho messo tempo ad andare d’accordo con lei ma poi mi ha insegnato molte cose. Anzitutto che non sono immortale come pensavo! Sono un uomo come tutti, con le mie fragilità. L’ascolto fa parte del mio mestiere, ma stavolta ho dovuto imparare a ascoltare il mio corpo, adattarlo alle nuove esigenze». 
Ha temuto di non poter continuare a suonare? 
«La tentazione di dire: fermo tutto, c’è stata. Ma sono abituato alle prove: mio padre morto in un carcere perché fedele allo Scià, io fuggito in esilio con mia madre… I limiti fisici mi hanno spinto a essere ancora più creativo. Ho ripensato alla tecnica pianistica in una luce nuova, privilegiando l’intelligenza: si suona con la testa non con i muscoli. Il grande Alexis Weissenberg ha convissuto gli ultimi 30 anni con il Parkinson… Bach era cieco quando ha scritto le ultime opere, Beethoven sordo. E Abbado non è mai stato così straordinario come dopo la malattia. Tutto sta a imparare nuove regole, coordinare i movimenti in modo diverso. Ora suono Bach con accorgimenti inediti, che mi divertono molto. E mi fa bene». 
In che senso le fa bene? 
«Bach è la mia miglior medicina. Un bravissimo neurologo, il professor Bullacher, sostiene che l’Arte della fuga possa trasmettere con il suo equilibrio ed esattezza i giusti stimoli al sistema nervoso centrale. Una vera ginnastica per i neuroni, che pratico ogni giorno. E anche Chopin, specie le Mazurke, funziona. Ci sono zone del repertorio che parlano con la stessa vibrazione che il sistema neurologico esige. La malattia è un modo di vivere interessante». 
Come vede questo periodo? 
«Con l’angoscia di tutti. Penso a mia figlia, Shihin Maria, che ha 6 anni e vive con la madre nelle Marche. Quale sarà il suo futuro?». 
E il suo? 
«Dopo Malinconia, l’album uscito alla fine del lockdown, ho studiato tutte le Sonate di Bach per piano e violino. Poi si vedrà. Dovessi peggiorare spero di rendermi conto di quando non sarò più degno di servire Bach e la musica».