Corriere della Sera, 17 dicembre 2020
QQAN91 L’enigma di Ratzinger
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«Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora cominciato…». Rileggere oggi queste parole di Benedetto XVI, consegnate al suo biografo Peter Seewald un paio di anni or sono, fa una certa impressione. Sono la presa d’atto della fine del suo pontificato con un passo indietro epocale, nel febbraio del 2013. E in parallelo proiettano un’ombra di attesa e di speranza su quanto è avvenuto dopo, con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio il 13 marzo dello stesso anno.
Viene spontaneo chiedersi se l’ingresso nel «nuovo mondo» sia già avvenuto, o se la sfida alle scorie del passato continui come prima. Le 1.209 pagine della biografia di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Una vita , edita da Garzanti, lasciano la domanda in sospeso: anche perché, nonostante oltre duecento siano dedicate alla preparazione e alla spiegazione della sua rinuncia, alla fine rimane un alone di mistero sui veri motivi che l’hanno provocata. Il Papa emerito racconta al suo biografo, bavarese come lui, di non essersi dimesso per lo scandalo Vatileaks: quello che vide il suo «maggiordomo» Paolo Gabriele, scomparso di recente, portare via di nascosto casse di documenti, in un turbinio di intrighi finanziari e di potere. «…Una volta ho detto che uno non si può dimettere quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo», gli confida Benedetto. «Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era tornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte».
È una versione che riemerge più volte, rivelando una storia avvincente di dimissioni meditate e date come al rallentatore, informando col passare dei mesi le persone a lui più vicine e cercando di attutire un trauma inevitabile per il cattolicesimo. Prendere atto della verità di Benedetto, tuttavia, non esime dal continuare a porsi qualche domanda su quanto avveniva nei palazzi apostolici.
Seewald racconta le tensioni continue tra il segretario di Stato di allora, il controverso Tarcisio Bertone, e la cerchia papale. Il segretario personale di Benedetto, monsignor Georg Gänswein, si scontrò con lui più volte. E anche cardinali vicini al Papa come l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, e quello di Colonia, Joachim Meisner, gli chiesero di sostituirlo. «Ma il Papa non si lasciò persuadere. A quanto pare», scrive Seewald, «la sua risposta fu: “Bertone rimane – basta!”». Non volle sostituirlo neanche quando nel 2010 compì 75 anni. Gänswein, si legge, protestò: «Bertone ne ha già combinate tante, e questo è troppo». Ma Benedetto XVI continuò a difenderlo. «Lei non sa che cosa ha fatto Sodano. Ha preso delle cantonate esattamente come Bertone…». Il riferimento era ad Angelo Sodano, segretario di Stato di Giovanni Paolo II.
Sono passaggi che strappano veli sorprendenti. Riverberano un’ombra di debolezza e insieme di ostinazione su Ratzinger «governante». E lasciano intatto l’enigma del sodalizio tra questo teologo raffinato e timido e il suo «primo ministro» Bertone, accusato nel libro di ingerirsi nella politica italiana; e, «invece di proteggere il Papa, di essere sempre in viaggio», registra Seewald.
Attraverso le lenti critiche degli ultimi anni del papato, si ha una descrizione densa e informata di una vita coerente e insieme tormentata da una stanchezza quasi esistenziale: col dubbio di dovere compiere un gesto che pure contraddiceva il profilo di Ratzinger, innovatore nella lettura dei tempi ma rigoroso e ortodosso sul piano della teologia. Non a caso Giovanni Paolo II lo aveva voluto come custode della Dottrina della fede.
Ma, per quanto fondamentale, la lettura della biografia non può limitarsi all’ultimo tratto del pontificato. L’interesse che suscita si deve alla sua completezza, a una ricchezza di informazioni e di dettagli inediti, frutto anche della consuetudine e del dialogo continuo di Seewald con Benedetto. Il libro comincia con la nascita del futuro Papa, figlio del gendarme Joseph Ratzinger: un poliziotto poco istruito ma intelligente, che veglia sul piccolo borgo di Markt, seicento anime timorate di Dio nell’Alta Baviera. La madre Maria Peintner ha 43 anni e partorisce nella stazione di polizia che si affaccia sulla piazza del mercato, il 15 aprile del 1927. Joseph Aloisius arriva dopo una bambina, Maria Theogona, e il fratello Georg.
La madre Maria era figlia illegittima di una coppia di figli pure illegittimi. «Secondo i registri del battesimo», spiega l’autore, «nel XIX secolo nella comunità di Muhlbach, in Sudtirolo, l’attuale Rio di Pusteria, in Trentino-Alto Adige, circa un terzo delle donne che partorivano un figlio non erano sposate». Da quel paesino, Joseph Aloisius attraversa i drammi della Seconda guerra mondiale, entra in seminario al Georgianum di Monaco, il più antico dopo il Collegio Capranica di Roma. Si appassiona alla teologia, e nel 1949 approda all’università della città. Le sue doti di studioso emergono rapidamente, come le posizioni critiche nei confronti di un progressismo teologico che in Germania avrebbe prodotto e produce frizioni profonde con la Roma dei Papi: anche se all’inizio era accusato di «modernismo».
Monaco, Frisinga, Bonn, Tubinga, Ratisbona: Ratzinger è andato in cattedra in più atenei. E la sua fama di teologo è cresciuta prima ancora di quella di vescovo, mentre anno dopo anno prendeva le distanze da una contestazione sessantottina e da derive marxiste che lo fecero bollare come conservatore. Definizione un po’ troppo schematica, per una figura complessa che da cardinale e poi da Papa ha cercato di combattere la pedofilia nella Chiesa, ritrovandosi, rivela, «frenato dal partito diplomatico della Curia romana»; che ha eliminato alcuni dei segni esteriori del potere temporale; e che ha compiuto il gesto più rivoluzionario e radicale in oltre settecento anni di storia del cattolicesimo.
La traiettoria della sua vita è quella di un tedesco figlio dell’Europa e dell’Occidente, che interiorizza e riflette l’identità e le contraddizioni del Vecchio Continente. Le radici di Joseph Ratzinger sono queste, sebbene probabilmente sarà ricordato soprattutto per le dimissioni, date in latino perché, disse con vezzo professorale, «una cosa così importante si fa in latino».
La giornalista dell’Ansa, Giovanna Chirri, fu la prima ad afferrare il significato delle sue parole e, dopo un attimo di stupore, battè la notizia. Da allora, si tenta ancora di decifrare il segreto della convivenza in Vaticano tra i «due papi». «L’amicizia personale con Papa Francesco non solo è rimasta», conferma Benedetto a Seewald, «ma è andata crescendo nel tempo». Si tratta di un miracolo di equilibrio e di lealtà reciproca che dura, e si rinnova ogni giorno.