Corriere della Sera, 17 dicembre 2020
Intervista a Beppe Sala
Dietro la scrivania quadrata e sgombra, il sindaco Beppe Sala racconta come immagina Milano nei prossimi cinque anni, dopo la nuova discesa in campo annunciata via video il giorno di Sant’Ambrogio. Una metropoli ferita dalla pandemia, che ha colpito al petto la generazione protagonista del Dopoguerra e ha messo alla prova dalle radici l’identità meneghina in volo dopo Expo 2015.
«Mi ricandido per fare una vera rivoluzione». Sono le sue parole all’indomani della scelta di correre ancora da sindaco. Parole impegnative che richiedono forza e risorse.
«Una delle risorse di Milano, lo si è visto in questa crisi pandemica, è la vita ricchissima dei suoi quartieri. In passato tanti hanno parlato di città policentrica arrivando a mitizzarla, ma mai a realizzarla. Ora ci sono i presupposti perché questo accada. Noi crediamo nella città in 15 minuti, rifondata sulla prossimità. Ci crediamo perché una delle cose che cambierà sarà la mobilità. Meno mobilità o comunque diversa. Significa garantire ai cittadini tutti i servizi primari vicino a casa, appunto in 15 minuti a piedi o in bicicletta. Bisogna trovare la formula per dare la dignità del vivere anche a chi non abita in un quartiere centrale. Sì, la Milano del futuro è policentrica».
I servizi sono il primo punto di una rigenerazione urbana. Sarà sufficiente?
«La città è un sistema circolatorio e nervoso, è un organismo da valutare nel suo insieme. Certo: la scuola, l’anagrafe, la cultura, l’ambiente vanno pensati come servizi di base che devono essere a portata di mano. Il tempo della necessità va accorciato. Ma so benissimo che è metà dell’opera. C’è una questione che non ha a che fare con la necessità, ma con il piacere e lo scambio: non la sopravvivenza, proprio la vita vivente. Noi dobbiamo temperare queste due esigenze: necessità e vita».
Milano esce molto provata dalla pandemia. Così altre grandi città. Centri come Bologna scalano invece la classifica della qualità della vita. Tra i sindaci delle metropoli europee c’è la preoccupazione che l’epoca delle città sia al tramonto?
«Tra sindaci ci diciamo che bisogna evitare l’errore di subire troppo la pandemia o di raccontare ai cittadini che si tornerà presto alla situazione di prima. Bisogna avere un altro disegno, consapevoli che abbiamo di fronte 24 mesi di sofferenza e che ci vorrà tempo per rimettere in moto la macchina. La pensiamo tutti allo stesso modo: dovremo cambiare. Ma le città non sono al tramonto. La forma città è talmente significativa in questa era di transizione, che Elon Musk ha annunciato di avere venduto molte delle sue proprietà per concentrarsi sul progetto di una città da fondare su Marte. Una città, non uno Stato. Prendiamola come metafora. Soltanto mettendosi in questa prospettiva intuiamo il futuro: città e mondo cambiano insieme. Questa è ciò che chiamo rivoluzione».
Nel suo libro «Società: per azioni» lei scriveva: «La ricerca di senso è una delle risorse di quel tremendo orizzonte che è la malattia».
«Il libro è stato scritto prima che deflagrasse la pandemia, mi sono interrogato se affrontare il problema del virus. Ma poi ho deciso di non aggiungere nulla perché mi sono reso conto che esprimevo una prospettiva che funzionava anche per la patologia mondiale. Una malattia di cui avremmo sofferto tutti. Guarire l’umano è una questione delicata, fatta di dedizione e amore. Come si possono esprimere la dedizione e l’amore a livello planetario? Questa è la domanda politica. Dal punto di vista personale, mi vengono da dire due cose. La prima è che quest’estate è scomparsa mia madre, il che mi ha fatto sentire figlio come non mai e possibile padre come non mai, perché i genitori non ci sono più. Lo ero già, in qualche modo, figlio e padre: della mia comunità, che mi ha formato e ho avuto l’onore di rappresentare. E poi penso che l’evento storico della pandemia insegni la fraternità. Il mio medico, fondamentale nella cura della mia malattia, è stato colpito duramente dal Covid e ho notato come del tutto spontaneamente io mi sia affacciato su di lui, prendendomene io cura. La malattia insegna il rovesciamento. Sappiamo più intensamente che è questione di essere, non di avere. È questione di non avere paura della morte, ma anche di avere il coraggio di vivere».
Per fare una rivoluzione oltre alle idee servono alleati. Chi saranno i suoi compagni di viaggio?
«A gennaio dirò con chiarezza ai milanesi quale sarà la compagine. Non molto diversa da quella attuale».
Ci sarà una lista del sindaco?
«Ci sarà una lista Beppe Sala sindaco. Il minimo comune denominatore è che sarà una lista di giovani, guidata da un candidato e da una candidata. Un uomo e una donna, giovani, che ho già individuato e che spero di annunciare dopo le feste. Credo molto nel valore della squadra e della stabilità tanto che durante questi 5 anni non è stato mandato via nessun assessore e nessuno si è dimesso ad eccezione dei due che sono stati eletti in ruoli più importanti. È un unicum nella storia della città. Se i milanesi mi riconfermeranno saranno i miei ultimi 5 anni da sindaco: il mio impegno sarà quello di creare una classe dirigente e un candidato a prendere il testimone. Ci sarà un gruppo di persone che si giocherà le carte per essere il delfino o la delfina».
Il rapporto con i Cinque Stelle?
«Mi sembra che a livello nazionale ci sia la volontà di trovare convergenze locali, per cui vorrei vedere cosa succede nelle altre città. Credo però che pur portando grande rispetto per i Cinque Stelle ci sia tanta distanza tra le nostre e le loro proposte, perciò è meglio che ognuno si presenti per conto proprio».
I Verdi hanno annunciato un loro candidato.
«Con i Verdi sto discutendo. Abbiamo avuto confronti anche aspri, ma rimane il fatto che il mio credo ambientalista è fortissimo. Mi auguro che si possa trovare una convergenza all’insegna della concretezza e del loro protagonismo. Io mi sento “Verde” e se non troveremo una strada sarò io a interpretare il pensiero ecologista. La speranza è che i Verdi siano nell’alleanza».
L’ex sindaco Albertini ha detto che ricandidarsi è stato un gesto generoso, ma che lei non ha più l’entusiasmo dell’inizio. Forse sottintendeva che la sua decisione è arrivata perché non c’erano alternative politiche o tecniche. La ricandidatura è un ripiego?
«Lo escludo in maniera categorica. Faccio fatica a vedere un ruolo dove posso dare un contributo maggiore. Se mi avessero detto “ti nominiamo supercapo del Recovery fund” avrei risposto che preferisco fare il sindaco di questa città. Né cambierei un ministero con Milano. Per quanto riguarda una possibile scelta manageriale ho ricevuto offerte importanti e ricche dall’estero, ma la mia scelta è stata quella di ricandidarmi. L’unica cosa vera è che ho avuto dubbi per lunghi mesi...».
Fino al giorno di Sant’Ambrogio...
«Negli ultimi giorni è maturata la voglia che è poi esplosa la sera prima di Sant’Ambrogio. A mezzanotte ho chiamato Stefano Gallizzi, il mio portavoce, e gli ho detto che l’indomani doveva venire da me per registrare il video senza dirlo a nessuno. Non lo sapevano neanche i miei assessori e di questo sono dispiaciuto. Ho scritto loro una mail scusandomi, ma la cosa è maturata così, è stata un’esplosione. Quello che mi ha aiutato nella decisione è stata la disponibilità di andare avanti delle persone che mi sono vicine».
Come è stata gestita la pandemia dal governo?
«Nella fase iniziale non male e poi...».
Poi?
«La politica non si deve far trascinare dall’emotività. Qualunque sia la decisione del governo sulla zona rossa per Natale, io non ho niente da dire. Il problema è non continuare a cambiare perché questo disorienta i cittadini e chi campa non di reddito fisso. Un’altra cosa: basta paternalismo, basta trattare le persone come bambini. Prima permetti loro di fare una cosa e poi ti arrabbi se la fanno. Ma cosa avrebbero dovuto fare i milanesi? Si dovevano chiamare tra loro per darsi i turni d’uscita?».
Farà il vaccino?
«Appena sarà possibile sarò felice di farlo».
Come è cambiato, se è cambiato, il rapporto con la comunicazione via social dove divampa l’esasperazione e avanzano hater e negazionisti?
«Trovo inaccettabile oggi stare sui social senza dichiarare chi siamo, senza metterci nome e cognome. Il confronto diventa molte volte sgradevole. I troll sono troppi e organizzati tra di loro. Se le cose non cambiano progressivamente la gente abbandonerà. Ed è un peccato perché è un modo diretto di rivolgersi alle persone».
Ha pensato di cancellarsi dai social?
«Ho riflettuto, non sono arrivato fino a questo punto. Ma confesso che leggere certi messaggi ti fa venire il sangue amaro».
A proposito di comunicazione, quale leader secondo lei ha saputo usare le parole giuste durante la pandemia?
«Una sola: Angela Merkel. Il sogno di ogni politico è lasciare dando il meglio di sé nell’ultima fase della propria carriera. E Merkel, nell’ultima fase, sta dando il meglio. L’ammiro profondamente. Se la Germania è dove si trova oggi è in gran parte merito suo».
Sala lascia che il sorriso abbia la meglio soltanto quando ricostruisce la sua camminata con Merkel dal Padiglione Zero di Expo fino a quello tedesco, 5 anni fa, una vita fa. In fondo, nella parabola della cancelliera tedesca – che ha saputo unire alla competenza la forza politica delle emozioni e degli affetti, la responsabilità di un disegno per tutti – si intravede la missione dello stesso sindaco di Milano. Agganciare al primo mandato, nato sotto la stella del fare e lasciar fare in una città in corsa, una nuova profondità: una generosità di parole e progetti capaci di allargare e includere, di curare e sospingere, di com-muovere e convincere allo stesso tempo.