il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2020
Il doppiaggio italiano di film e serie perde qualità
Senti chi parla. Basta farsi un giro social per costringere il “doppiaggio migliore al mondo” a un bagno di umiltà: stroncature a mezzo #, critiche motivate, comparazioni spietate. Sarà ancora un’eccellenza globale, ma il doppiaggio italiano ha il fiato corto, e i suoi fustigatori non sono tutti interessati o del tutto malevoli: una sillaba di verità c’è. Lo riconoscono le stesse voci nel buio: la rivoluzione streaming ha levitato la quantità dell’offerta, serialità in primis, non elevato la qualità del servizio di doppiatori, direttori di doppiaggio e dialoghisti. Anzi.
Nastro d’Argento alla carriera nel 2010, curatrice dal 1993, per la Cvd, dei film di Woody Allen, Maura Vespini non ha peli sulla lingua: “Il minor tempo a disposizione catalizza esiti impietosi. Un conto sono le soap, e noi Beautiful lo facciamo da trent’anni, un altro le serie attuali costruite come tv movie: se gli immutabili Ridge, Eric e Brooke sono padroneggiati dagli attori, oggi imperano occasionalità e produttività, e le regole anti-Covid affannano ulteriormente la rincorsa”. La contingenza pandemica, causa sanificazione, decurta i turni di doppiaggio nell’indifferenza della committenza, e Vespini non le manda a dire: “Gli americani sono ignoranti come le capre, non capiscono niente e noi non li aiutiamo: com’è possibile, si chiederanno, avere preventivi da 10, 5 o 3, laddove il contratto nazionale vorrebbe differenze minime? C’è chi deroga e fa concorrenza sleale, ma a giocare al ribasso ci hanno costretto loro”. “Netflix non mi piace, ha portato lavoro, sì, ma quale?”, tuona Vespini, e si prepara “a perdere altre gare, come puntualmente avviene: io no, però c’è chi va sotto, qualcosa non torna”.
“Al mio segnale scatenate l’inferno!”, intimerebbe il suo Massimo Decimo Meridio, ma Luca Ward giudiziosamente si limita al purgatorio: “La questione esiste, e non nasce con la pandemia. Le piattaforme straniere si sono affacciate sul panorama nazionale senza ravvisare soluzioni di continuità, sebbene non siamo tutti uguali: accanto a quelle storiche, certificate, sono nate a Roma società un po’ pirata, che si servono degli studenti di sedicenti scuole di doppiaggio pagandoli una miseria”. Concorda, “la qualità è la prima vittima della guerra in atto per i preventivi: l’eccesso di ribasso non solo va a discapito dell’utente, scoperchia una serie di problemi, dai versamenti Inps non effettuati alle ritenute d’acconto non pagate, per i professionisti”. Il Gladiatore sta con il suo popolo, “è abituato a un certo sound, le schifezze le becca subito”, e guarda alle istituzioni: “Urge un’interpellanza parlamentare, per portare alla luce tutte le magagne serve un ministro più che i sindacati. Al tavolo si sono sempre messi senza vantare conoscenze in merito: io un sindacalista in sala di doppiaggio non l’ho mai visto in quarant’anni”. “Dobbiamo aumentare il controllo sul territorio e agire sull’esempio europeo: dalla Francia a Spagna e Norvegia, c’è chi ha una regolamentazione migliore”, prosegue Ward, che per Ccd Sefit ha prestato voce allo Hugh Grant della serie The Undoing, dall’8 gennaio su Sky: “Intende bene la nostra realtà, Amazon e Netflix invece vanno sulla fiducia, ma confido non durerà: siamo un Paese con mille contraddizioni, il doppiaggio non fa eccezioni”.
“Smart e preparato com’è, raramente il pubblico sbaglia un giudizio: spesso si va al risparmio e si sente”, constata Rossella Izzo, sangue blu del dubbing, che con la Pumais Due sta adattando Inés dell’anima mia, da Isabel Allende, per Mediaset. Non crede che le piattaforme arrechino danno, al contrario, “l’attenzione posta dai supervisor sulla fedeltà all’originale assicura maggior controllo, e inibisce licenze creative a valle: una scelta autoriale, ormai estendibile a Rai e Mediaset, che condivido”. La paura è per il “degrado del prodotto: un doppiaggio raffazzonato spalanca la strada ai sottotitoli, che pure hanno godibilità inferiore”.
“Parto dall’assunto – replica Roberto Chevalier, Tom Cruise e altre mirabilie in carnet – che si debba vedere le condizioni di lavoro: urgenza, disponibilità di società e attori, altre contingenze. Il cliente ha tutto, dovrebbe almeno, l’interesse che le cose vengano fatte bene, ma se dalla prima scelta arrivi alla quinta qualcosa si perde…”. Dalle piattaforme non eccesso di offerta, “ma di fiducia”, non incompetenza, “ma abbassamento dei costi”, lo stato dell’arte non lascia, raddoppia: “È accaduto per telefilm e serie, potenza delle critiche social”. Già, non tutto il male vien per nuocere: “L’alfabetizzazione del pubblico è conclamata, il doppiaggio materia di discussione, e studio”. E il futuro? “Ridare al cinema – pretende Chevalier – quel che è del cinema: non esistono piccoli doppiatori, solo piccoli schermi”.