Corriere della Sera, 16 dicembre 2020
Un caffè con Giancarlo Giorgetti
Giancarlo Giorgetti la vede nera. «Il Paese è più impaurito che incazzato. Ed è depresso. Ma quando la paura finirà potrebbe esplodere. Al governo c’è una banda di incapaci, che si tiene in piedi solo grazie a una favorevole congiunzione astrale. E l’opposizione è ancora una compagnia di ventura, vincerà a mani basse le prossime le elezioni, quando ci saranno, ma non è pronta a governare. È come se il centrodestra di oggi avesse paura di un altro centrodestra, diverso, che invece è proprio quello che serve all’Italia».
Un quarto di secolo da deputato fa di Giorgetti uno dei parlamentari più esperti di Montecitorio, nonostante la giovane età (oggi fa 54 anni, auguri). Ha sempre idee chiare in testa, ma non sempre vengono ascoltate. Forse per questo una punta di disincanto e delusione accompagna sempre un carattere peraltro appassionato e irruente.
«Salvini ha fatto una mossa giusta, e subito la Meloni ha protestato, per ragioni di competizione elettorale. Ma il leader della Lega ha ragione se prova a non farsi cuocere a fuoco lento per gli anni restanti della legislatura. Deve utilizzare questo non breve tempo per uscire dal personaggio che gli hanno cucito addosso, e acquisire l’affidabilità di uomo di governo, interna e internazionale. É una sfida anche per lui. Il suo straordinario successo politico è stato infatti costruito fuori dal Palazzo, nei social e nelle piazze, e questo lo spinge giustamente a non fidarsi del Palazzo e delle sue manovre. Ma per governare l’Italia ci vogliono alleanze e credibilità, non basta un forte consenso elettorale. Anche il Pci ce l’aveva, ma non l’hanno fatto mai neanche avvicinare al governo».
Giorgetti pensa che il governo Conte non finirà la legislatura. E che quando cadrà, un’altra maggioranza si formerà. Dice che «lo sanno tutti». Quale possa essere l’alternativa oggi non sa dirlo. Ma è certo che nella grande massa di eletti che non vedranno mai più Montecitorio e Palazzo Madama quando nascerà un Parlamento con quattrocento membri in meno, «una cinquantina disposti a far nascere un altro governo verranno fuori». Ammesso però che qualcuno faccia cadere quello attuale. Questo ragionamento sembra scommettere su Renzi, mi pare.
«Tre mesi fa ho detto a Salvini; guarda che tu devi sperare che vinca Biden. E sai perché? Perché Renzi è suo amico, o almeno crede di esserlo, e con lui alla Casa Bianca si sentirà più forte, penserà di avere l’arma nucleare, e magari sarà disposto a forzare la mano e a rischiare. Sta accadendo. Ho visto che ha anche postato una sua foto con il nuovo Mr. President, come a dire: in Italia mi sottovalutate, ma io ho amici potenti».
Anche il Pd, partito nel quale Giorgetti sembra stimare solo Bonaccini («uno che conosce l’Italia che produce»), non può lasciare che Conte rafforzi la sua posizione per poi farsi una forza politica sua, cui basterebbe un dieci per cento, in un regime proporzionale, per fare l’ago della bilancia. Se lo showdown, come sembra, non ci sarà a gennaio, «ci sarà a luglio, appena comincerà il semestre bianco e non sarà più possibile, nemmeno tecnicamente, lo scioglimento del Parlamento».
Su ciò che secondo lui dovrebbe arrivare dopo Conte, da tempo Giorgetti non ha dubbi, e ormai non lo ripete nemmeno più: un governo di ampia base parlamentare, con dentro i migliori, guidato dal migliore (cioè Mario Draghi, ndr). «Sarebbe quello che ci vuole, per fare cose che un governo raccogliticcio come quello attuale, tutto e solo preso dal consenso, non potrebbe mai fare. Per esempio quando si tratterà di rivedere tutta la legislazione di sussidi e blocco dei licenziamenti che c’è ora. Oppure per investire i soldi europei in progetti che creino veramente crescita, unica via per un Paese con un tale debito pubblico. Insomma, qui nessuno sembra farci caso, ma noi stiamo in piedi perché la Bce compra i nostri titoli sui mercati. Durerà, ma non all’infinito. Poi dovremmo farcela con le nostre gambe. E chi lo farà? Le banche? L’Unicredit di Padoan presidente? Nessun governo senza la necessaria credibilità e serietà potrebbe sventare il rischio di una tempesta finanziaria». Giorgetti non lo dice, ma ho l’impressione che per lui un esecutivo di ricostruzione nazionale potrebbe anche essere l’occasione della svolta per Salvini e la Lega: un po’ come la Grande coalizione per la Spd tedesca, che negli anni ‘60 l’accreditò e fu l’anticamera della conquista del potere. Intanto lui lavora in Europa proprio a cercare di vincere i pregiudizi sul suo partito, che giudica immeritati. Punta su Friederich Merz come possibile successore della Merkel, capace di aprire una via nel rapporto tra Cdu e conservatori: potrebbe far uscire la Lega dal suo attuale isolamento in Europa. Oggi è ancora nel gruppo con gli estremisti di destra della Afd tedesca: «Non capisco che ci facciamo con loro. Ne ricaviamo solo guai e nessun vantaggio». i
Ma teme anche per l’immagine complessiva dell’Italia. «Ci saranno momenti decisivi. L’elezione del futuro Capo dello Stato per esempio. Potrebbe diventare un brutto spettacolo. Luogo di mercanteggiamento dei voti di parlamentari a fine corsa, occasione di frantumazione e caos. Per questo avevo detto che la cosa migliore potrebbe essere chiedere a Mattarella di restare e accompagnare così la nascita del nuovo Parlamento con 400 seggi in meno: sarà poi quello a fare, come è giusto, le scelte del futuro settennato».