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 2020  dicembre 16 Mercoledì calendario

Beethoven, 250 anni eroici



Ludwig van Beethoven nasceva 250 anni fa a Bonn. Uno dei fratelli pensava che la data fosse il 15, o il 17. Lo stesso Beethoven non aveva le idee chiare in proposito, e credeva di essere nato nel 1772. Forse fu il padre a dichiararlo più giovane: voleva portarlo ad esibirsi in giro per l’Europa, e più giovane lo avessero creduto, più lo avrebbero paragonato a Mozart. La data ufficiale è però il 16 dicembre 1770, e oggi in tutto il mondo centinaia di orchestre e di solisti suoneranno per ricordarlo. Sarebbe stato un grande anniversario, se non ci fosse stato il Covid.
Nessun compositore ha mai cambiato così tanto la musica del suo tempo come ha fatto Beethoven. Quando si trasferì stabilmente a Vienna, nel 1792, Il conte Waldstein gli augurò di «ricevere lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn», ma i grandi maestri erano già troppo indietro per lui. «Mi date l’impressione di essere un uomo con molte teste, molte anime, molti cuori», gli aveva detto Haydn accettandolo come allievo. Presto se ne pentì: troppo audace, troppo indisciplinato, ascoltava svogliato, avendo in mente ben altro.
La sua famiglia era venuta dalle Fiandre, dove la preposizione «van» era usata per indicare la provenienza, non l’origine nobile. Di nobile c’era sicuramente ben poco in un padre brutale e alcolizzato, che di giorno cantava da tenore alla corte di Clemente Augusto e di notte teneva sveglio Ludwig perché suonasse il violino per gli amici ubriachi. A Vienna Beethoven trovò un po’ di pace e molti estimatori, nonostante l’ostilità della vecchia guardia musicale. L’abate Maximiliam Stadler, grande amico di Mozart, aveva definito «assurdità assolute» le sue composizioni.
Beethoven non ci badava. Aveva l’appoggio di numerosi mecenati che ne avevano compreso l’immenso talento e il desiderio di innovare. Scrisse all’amico Wenzel Krumpholz nel 1802: «Non sono soddisfatto dei miei lavori. Da oggi, voglio aprire una nuova strada». A 17 anni, nel 1787, lo avevano portato da Mozart per una audizione: «Grazioso, ma troppo meccanico», lo aveva liquidato Wolfgang. Ma visto che gli amici insistevano, aveva accettato di ascoltare qualcos’altro. «Tenete d’occhio questo giovane, avrà qualcosa da raccontare», sembra abbia detto allora Mozart.
Già prima dei 30 anni, Beethoven aveva avvertito una strana sensazione alle orecchie, che presto diventò un fastidio continuo e alla fine un dolore accompagnato da un tintinnio. La sordità è la peggiore delle condanne per qualunque musicista. Con la sordità, cambiò anche il suo aspetto fisico: ne parlavano come di un «uomo delle caverne» e una volta lo arrestarono scambiandolo per un vagabondo. «O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo, come siete ingiusti con me – ha scritto nel famoso testamento di Heiligenstadt –. Da sei anni mi ha colpito un grave malanno, peggiorato per colpa di medici incompetenti. Sono stato presto obbligato a trascorrere la vita in solitudine...»
Leggeva Shakespeare, Goethe e Schiller, si riconosceva nell’Illuminismo, nella Rivoluzione francese e in Napoleone, che poi rinnegò quando si proclamò imperatore. Volle incontrare il violinista francese Rodolphe Kreutzer, cui dedicò una sonata che lui non eseguì mai, giudicandola «scandalosamente incomprensibile». Tolstoj invece la capì, e ne ricavò uno splendido racconto sul potere erotico della musica. Goethe incontrò Beethoven e non ne ricambiò la stima: «E’ una personalità del tutto sfrenata, che, se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende così più gradevole a sé e agli altri».
Era vero, purtroppo. Sordo, affetto da una pancreatite cronica che cercava di mitigare bevendo continuamente vino del Reno, trasandato nell’aspetto e negli abiti, Beethoven faceva molto poco per ingraziarsi gli altri. E le altre. Non riuscì ad avere una relazione stabile con nessuna donna, salvo volatili eccezioni. A quella che avrebbe voluto sposare, Therese Malfatti, dedicò la bagatella nota come «Per Elisa» (il nome Therese fu trascritto male) ma lei lo respinse. Scrisse una commovente lettera a un’ignota «Amata immortale», e bisogna ascoltare il «Largo e mesto» della sonata Opera 10 numero 3 per avere un’idea di quanto grande fosse la sua disperazione.
Vienna era già pazza di Rossini quando nel 1824 fu eseguita per la prima volta la Nona Sinfonia, il grande lascito di Beethoven al mondo. Ma il pubblico andò in delirio come oggi accadrebbe a un concerto rock. Alla fine, il contralto Caroline Unger si avvicinò al maestro e lo fece girare, perché vedesse gli applausi di cui non si era accorto: non li sentiva. Franz Schubert, poche ore prima della morte avvenuta nel 1827, andò a trovarlo, scusandosi per non averne capito prima la grandezza. Disse poi: «Passerà molto tempo prima che si comprenda tutto quello che quest’uomo ha creato». Oggi lo capiamo, e ne siamo ancora meravigliati.