Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2020
Pechino e la partita della reputazione
La fotografia è limpida: la Cina cresce, contemporaneamente l’Occidente soffre. La Cina sembra oggi essere immune al Covid-19, mentre l’Occidente dal virus viene falcidiato. Una sorta d’effetto forbice. L’ufficio statistico dell’Ue ha certificato come nei primi sette mesi dell’anno la Cina sia diventata il primo partner commerciale dell’Europa lasciando indietro gli Stati Uniti. Forse il modello di governance di Pechino è più efficace di quello democratico? Prima dell’arrivo dei vaccini l’unica arma appuntita per sconfiggere il virus e per guarire l’economia sembra sia quella di ridurre i contatti tra persone comprimendo le libertà individuali: certamente un innaturale esercizio che trova più facile attuazione in quei Paesi che vantano un sistema non democratico. Lo scontro, le differenze tra i due mondi (e i due modelli) sembrano ora essere più evidenti. Può sembrare una contraddizione, ma l’evidente effetto forbice potrebbe non essere così vantaggioso per la Cina?
La caduta reputazionale del Paese del Dragone è stata registrata da alcuni osservatori. Per il Pew Research Center le nazioni che più hanno incrementato un’opinione negativa della Cina sono la Svezia, il Giappone e l’Australia. Molte le azioni, i dissapori che stanno maturando. La politica economica del Giappone comprende il manufacturing exodus from China: il reshoring, vale a dire l’incentivare il ritorno delle produzioni in patria. Tokyo, per esempio, sta supportato il percorso inverso della delocalizzazione con un corposo piano finanziario da 2,2 miliardi di dollari. Inoltre il Giappone ha riattivato il Quad (Quadrilater security dialogue), un’alleanza con (non a caso) Australia, India e Stati Uniti per creare una barriera finalizzata ad arginare le mire espansionistiche della Cina. Passando all’Australia (la Cina è il suo più importante partner commerciale), è da mesi che tra Canberra e Pechino i rapporti sono tesi: il primo ministro Scott Morrison ha chiesto venga condotta un’inchiesta indipendente sul Covid-19, la rete 5G di Huawei è stata messa al bando. La risposta cinese non si è fatta attendere: alcuni giornalisti australiani sono stati arrestati (poi rilasciati) o fermati in Cina, il ministero del commercio ha introdotto significativi dazi sull’orzo australiano e ha bloccato le importazioni di manzo e di legname. Recentemente il portavoce del ministro degli Esteri cinese ha pubblicato una foto (ritoccata, si tratta di un fake) molto cruda che mostrava un soldato australiano intento a sgozzare un afgano. Risposta piccata di Canberra.
Taiwan sta spendendo in armamenti per cercare di formare uno sbarramento di fuoco, gli Stati Uniti da poco hanno approvato la vendita di armi all’isola per circa 1,8 miliardi di dollari. Pechino compie in continuazione provocatori sconfinamenti con aerei militari all’interno del perimetro della ex isola di Formosa. Giappone, Australia e Taiwan (supportati dagli Usa) sono diventati gli scomodi vicini di casa della Cina. In un’ottica di diritto di libera circolazione nell’area, da mesi navi militari di diverse nazionalità solcano i mari, pattugliando vaste zone che bagnano la Cina. Inoltre, gli Stati Uniti a fine novembre hanno inviato un cacciatorpediniere lanciamissili nello stretto di Taiwan. Atteggiamenti posturali non graditi alla Cina che ricambia con provocazioni.
Non solo armi o sconfinamenti o confronti muscolari. Imprese multinazionali stanno pensando di ridisegnare la rete d’approvvigionamento: il rischio-Paese Cina è aumentato (complice anche l’adozione della legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong), forse è meglio delocalizzare in altri luoghi più stabili. Come risposta Pechino punta a sviluppare il mercato interno, ambire a un’ambiziosa autosufficienza produttiva soprattutto nel comparto tecnologico (Made in China 2025 è uno degli esempi) e, in linea di massima, diminuire in tutti i settori la dipendenza dall’estero. Una sorta di autarchia che comporta una maggiore supremazia dello Stato (del Partito comunista cinese) non solo con incentivi all’economia interna, ma anche attraverso l’inasprimento del controllo sociale, anche con l’utilizzo della “tecnologia autoritaria”, la digital repression (installazione di milioni di telecamere con riconoscimento facciale, sistema delle smart city e adozione del credito sociale).
Tutte queste attività sono note e occupano le pagine di blasonate riviste di geopolitica. Se si scava più in profondità si nota come sotto la cenere cova anche dell’altro. La faccenda della nascita e della diffusione, fino a diventare pandemia, del Covid-19 non soddisfano le domande dei più curiosi. Ora l’attenzione della propaganda di Pechino è concentrata nel diffondere l’idea che il veicolo scatenante del Covid-19 sia da attribuire a merce surgelata importata. Quella dei surgelati, così come quella di attribuire all’Italia l’origine della diffusione del virus, è un atteggiamento non nuovo che però come controindicazione potrebbe avere quella di smentire definitivamente il ruolo attribuito a quella parte del mercato di Wuhan dove si commerciavano animali vivi e frattaglie. Le tensioni globali verso Pechino sono alimentate anche dalla diffusione di studi che dimostrerebbero (il condizionale è d’obbligo) come il virus non sia evoluto naturalmente, ma sia il frutto di manipolazioni di laboratorio. Senza dubbio si tratta di tesi che, se provate, comporterebbero gravi responsabilità giuridiche e politiche, anche se tali ipotesi attribuiscono la diffusione del Coronavirus a motivi accidentali e certamente non dolosi.
La Cina come potrebbe reagire? Probabilmente la reazione della nuova grande Cina a guida Xi Jinping, così com’è accaduto quando ha perso la disputa riguardante controversie territoriali di fronte al Tribunale internazionale dell’Aja non riconoscendola e giudicandola “carta straccia”, sarà quella di respingere con forza ogni attribuzione anche cercando di trasferire responsabilità. Reazioni e richieste potrebbero nascere in seno ad alcuni organismi internazionali e potremmo assistere ad un ulteriore calo di affidabilità della nazione Cina da parte dei player economici globali.