ItaliaOggi, 16 dicembre 2020
I gamberetti tedeschi, Pescati al Nord, lavorati in Africa
La globalizzazione ha aspetti paradossali. Un recente giallo tv, uno dei tanti, si svolge in un’isola del Mare del Nord. Nei telefilm la storia può essere poco credibile, ma di solito lo sfondo sociale è abbastanza preciso. L’economia locale si basa esclusivamente sulla pesca dei gamberetti, piccoli e grigi, secondo me non una prelibatezza. Vanno sbucciati, e un grossista si accaparra tutto il pescato per inviarlo in Nigeria, dove i gamberetti vengono sbucciati e poi riportati in Germania e messi in vendita.I pescatori non si possono opporre, perché i nigeriani lavorano per pochi centesimi e sull’isola del Nordsee si pagano 8,50 euro all’ora. La pesca dei gamberetti è in crisi, ne hanno pescate l’anno scorso 28 mila tonnellate contro le 44 mila del 2018, e il fatturato è crollato da 60 a 35 milioni. Al consumo costano fino a 12 euro al chilo, ai pescatori se va bene vengono pagati tre euro. E in tv ci scappa il morto. È mai possibile? Ho pensato che l’autore esagerasse. Difficile trovare sempre nuove idee.
Poi mi sono ricreduto. Ho letto l’articolo di Uta Weisse sulla Welt: per raccogliere mirtilli e altre bacche in Svezia fanno venire lavoratori dalla Thailandia, 17 mila chilometri avanti e indietro. È un lavoro faticoso, ci si spacca la schiena, e non si trovano svedesi disponibili. Nelle foreste crescono tonnellate di mirtilli blu e rossi, e altre gustose varietà di bacche. In media, su quattro metri quadrati nella brughiera e nei boschi se ne raccolgono oltre venti chili.
L’anno scorso le bacche hanno superato le 500 mila tonnellate, ma solo una piccola parte è stata raccolta, non più del 5%, finita sui mercati, o trasformata in marmellate, o usata per le salse amate dagli scandinavi. L’80% viene esportata. Ogni svedese ha il diritto di raccoglierne quanto ne vuole per il consumo privato. Fino agli anni ottanta, la raccolta era svolta solo da privati svedesi che la vendevano ai supermarket.
Dall’estate all’autunno, migliaia di stagionali, poche le donne, giungono in volo charter dalla Thailandia del Nord. L’anno scorso sono stati 7.200. Le autorità svedesi controllano con rigore sia le paghe che le condizioni dell’accoglienza, dal vitto agli alloggi, all’assistenza sanitaria. Uno stagionale in un paio di mesi in Svezia guadagna quanto in un anno in Thailandia.
La paga è mensile ed è stabilita dal sindacato. Vietati i contratti a forfait. Quest’anno il salario minimo era di 2.100 euro, circa il 30% in meno rispetto alla paga media per gli svedesi. Esenti tasse. I lavoratori le pagheranno al ritorno in patria. Grazie ai tailandesi un chilo di mirtilli costa un euro. Ma il viaggio in aereo, le spese di mantenimento e i trasporti sui campi di raccolta sono a carico di ditte che reclutano i lavoratori, e che poi le detraggono dalla paga. Alla fine, scrive Die Welt, sono tutti contenti, gli svedesi che risparmiano e gli stagionali che non si sentono sfruttati come gli immigrati che raccolgono pomodori in Italia.