Il Messaggero, 16 dicembre 2020
Bisturi e musica per soffrire meno
I pazienti hanno bisogno di essere ascoltati e rispettati per garantire il miglior esito delle cure. Lo conferma, in maniera del tutto inedita, uno ampio studio tedesco che è stato appena pubblicato sul British Medical Journal.
La ricerca dimostra che, se le persone sottoposte ad un intervento chirurgico, vengono rassicurate con parole e musica durante l’anestesia, al risveglio hanno meno dolori e minor necessità di ricorrere alla morfina. Musica rilassante somministrata, se possibile, con auricolari. Intervenire in modo mirato sul subconscio con suggestioni positive, potrebbe risparmiare al paziente una quota significativa di dolore post operatorio.
LA RISPOSTA
Ogni anno, oltre duecento milioni di persone nel mondo entrano in sala operatoria e sono trattate con anestesia generale. Nella maggior parte dei casi, al risveglio, non ci si ricorda nulla di quanto è accaduto mentre i chirurghi operavano anche se due pazienti su mille parlano di sensazioni legate all’intervento. Molto più comune è invece quello che gli esperti chiamano consapevolezza connessa, ovvero la capacità del paziente di rispondere ad uno stimolo esterno sotto anestesia, pur non serbandone ricordo nel momento in cui riapre gli occhi.
Questo studio apre nuove prospettive sul fatto che un qualche livello di connessione con l’ambiente esterno, in particolare a carico delle vie uditive rappresenti un’opportunità per migliorare gli esiti dell’intervento chirurgico. Almeno sul fronte soggettivo del dolore post-operatorio.
Lo studio, coordinato da Hartmuth Nowak dell’Università della Ruhr a Bochum (Germania), ha preso in esame circa 400 pazienti ricoverati presso cinque ospedali universitari tedeschi e sottoposti ad anestesia per interventi chirurgici della durata di 1-3 ore. I risultati dimostrano che quelli esposti attraverso degli auricolari a suggestioni positive, basate sui principi dell’ipnoterapia, su un sottofondo di musica rilassante (dal cd Trancemusik), al risveglio hanno bisogno di una minor quantità di morfina per tenere a bada i dolori nelle prime ventiquattro ore dopo l’intervento. Accarezzare l’inconscio con musica e parole rassicuranti, ha ridotto del 25% il dolore post-operatorio e fatto consumare 4 mg di morfina in meno, il primo giorno dopo l’operazione.
L’applicazione di una strategia non farmacologica nel campo dell’anestesia, non è una novità assoluta: un quarto di secolo fa, un’anestesista belga, Marie-Elisabeth Faymonville, ha dimostrato la fattibilità e i benefici della cosiddetta ipnosedazione. Oggi i robusti risultati scaturiti dallo studio del gruppo di Nowak conferiscono una plausibilità scientifica a questa integrazione non farmacologica alla classica anestesia. Che ha anche il vantaggio di essere a costo zero e di apportare importanti benefici ai pazienti.
IL BERSAGLIO
Questa ricerca accende i riflettori sull’inconscio come possibile bersaglio terapeutico per migliorare gli esiti di un intervento chirurgico e l’esperienza soggettiva del paziente e, sul versante strettamente scientifico, scuote dalle fondamenta una certezza apodittica e cioè che durante l’anestesia il paziente sia disconnesso dall’ambiente esterno.
Ma c’è anche un altro risvolto della medaglia. Se è vero che l’inconscio può rimanere in ascolto durante l’anestesia generale, la cosa vale sia per i messaggi rassicuranti, come anche per il linguaggio spesso molto diretto ed esplicito utilizzato in sala operatoria dall’équipe chirurgica. Si è dimostrato che l’uso di un linguaggio nocebo, in grado cioè di generare aspettative negative rispetto ai risultati, può aumentare la percezione del dolore durante l’infiltrazione di un anestetico locale. Insomma, attenzione alle conversazioni in sala usato in sala perché il paziente, o meglio il suo inconscio, potrebbe essere in ascolto e ricavarne un serio danno.