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 2020  dicembre 15 Martedì calendario

Intervista a Maria De Filippi

Queen Mary o Maria la sanguinaria («vanno bene tutti e due»): Maria De Filippi è la cassaforte di Mediaset da più di vent’anni con Uomini e donne, Amici, C’è Posta per te . 
Lei fa davvero programmi che le piacciono o programmi che deve fare perché funzionano?
«Mi prendo sempre la libertà di cambiare qualcosa, di modificare i meccanismi come voglio. Ho unito i due troni a Uomini e donne perché così mi diverto di più. L’anno scorso ad Amici c’era la gara tra squadre, un meccanismo che stimolava la competizione tra i ragazzi che sicuramente appartiene più al serale che al pomeridiano. Io stessa mi annoiavo un po’ e ho deciso di cambiare inserendo un sistema che si basa sull’individualità dei ragazzi, un meccanismo molto più aderente alla realtà del mercato discografico che coinvolge radio, produttori, registi di videoclip e a breve un direttore di compagnie di danza. La differenza vera è che non puoi fare copia-incolla sulle persone, le storie di vita non sono mai uguali: i programmi li fanno le persone, così non c’è mai routine». 
«Amici» è arrivato alla 20ª edizione. Che cifra ha quest’anno?
«Il connotato della scuola per me è sempre fondamentale, per la vera possibilità di far crescere i ragazzi. Oggi la convivenza nella casa a causa del Covid ha trasformato Amici: la necessità di tenere i ragazzi in una bolla fa sì che non sia solo talent, ma anche reality. Ci sono le storie di vita dei ragazzi, si vede tutto quello che prima non era sotto l’occhio delle telecamere». 
Tra gli insegnanti c’è la «sovranista» Lorella Cuccarini: perché l’ha scelta? 
«Intanto la reputo una mia collega, non solo una prof di danza. Penso che quelle prese di posizione siano state frutto di ingenuità che hanno dato luogo a equivoci. Per me quello che è successo deve rimanere fuori dal programma. L’ho sentita realmente interessata al progetto, è appassionata ma severa e rigorosa con i ragazzi: non premia mai chi non lavora come si deve». 
Nel cast c’è anche Arisa. Tanti anni fa «qualche imbecille alla porta dei casting» (parole sue) non la fece entrare ad Amici perché non era telegenica. 
«Tra i 30mila ragazzi delle prime edizioni c’era anche Arisa e qualcuno la scartò alla prova telegenia, di cui ho scoperto l’esistenza solo a cose fatte. La telegenia è la più grande scemenza d’Italia e non mi sembra che appartenga ai più grandi conduttori del mondo, come Letterman o Oprah Winfrey: loro piuttosto hanno superato la prova intelligenza». 
Senza ipocrisie: l’aspetto, in tv come nella società, conta. 
«La bellezza aiuta, ma non basta. La patente di ingresso per la tv non può essere la bellezza, a meno che non si tratti di Miss Italia». 
Qual è il programma in cui si riconosce di più?
«C’è posta è quello che mi appassiona di più, perché la scelta delle storie è mia, perché mi misuro con quello che non conosco, con l’imprevisto di chi arriva ad aprire o meno la busta. Chi fa tv fa mediazione tra quello che succede in studio e quello che arriva a casa: C’è posta consente a chi lo conduce di non rimanere imbrigliato. Per questo preferisco il pomeridiano di Amici piuttosto che il serale, perché non mi sento ingabbiata in un meccanismo di gara dove il televoto padroneggia e se la mia attenzione di conduzione dura più tempo su un ragazzo che balla piuttosto che canta rischio di condizionare il risultato». 
La sfida del sabato sera la vive come una condanna a dover vincere, uno stimolo a fare meglio o come una tassa da pagare?
«La vivo come una collocazione di palinsesto. Il dato Auditel del giorno dopo è il risultato del mio lavoro, non del lavoro altrui. Sono in grado dopo 20 anni di tv di valutare – indipendentemente dal fatto che abbia vinto o perso – come ho lavorato». 
Qual è il giorno della carriera da rivivere con il senno di poi?
«La prima serata di Sanremo, perché ero terrorizzata: avevo la salivazione azzerata, continuavo a camminare con lo sguardo fisso e le labbra che si accartocciavano all’indentro. La rivivrei in modo completamente diverso». 
E da punto di vista personale?
«Quando ho incontrato per la prima volta Gabriele (il figlio adottato con suo marito Maurizio Costanzo, ndr): lui aveva 10 anni, io ero tesa come una corda di violino, era come andare a un esame a cui non ti puoi preparare. Pensavo: e se gli faccio schifo?». 
Quale talento ruberebbe a suo marito?
«Ne ruberei tanti. A partire da quello di non smettere mai di essere curioso, mettersi in gioco. Io sono molto più cauta, mi muovo solo con la certezza di avere qualcosa sotto i piedi, lui invece non ha paura di buttarsi».