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 2020  dicembre 15 Martedì calendario

Il problema del contratto di Dybala

Non è una questione di soldi, però i soldi sono l’unità di misura del rapporto tra Dybala e la Juventus. Sono il termometro del freddo che c’è, per quanto l’amore si sforzi di scioglierlo. «Io amo la Juve» dice il giocatore, con una certa tenerezza. «Il suo amore è ricambiato», gli risponde Andrea Agnelli. Nessuno dei due mente: Dybala ha davvero una fissazione per la Juve, sogna di entrarne nella storia, e il presidente apprezza sul serio i sentimenti di quel ragazzo mancino con lo sguardo chiaro che conquista i ragazzi. Ma il problema è che non è neanche una storia d’amore. Dell’amore ha solo attese e pretese, due cose che confondono le acque.
Ora la vicenda è finita in piazza. Dybala ha raccontato di un profondo disagio intimo («Non ero io») e del labirinto di pensieri in testa: «Sul mio contratto sarebbe bello si dicesse la verità, invece sono uscite certe cifre per mettere i tifosi contro di me». Il sottinteso: le voci le ha fatte circolare la Juve. Agnelli gli ha risposto a tono, senza fare numeri ma lasciandoli intuire: «Ha ricevuto una proposta che lo porrebbe tra i venti giocatori più pagati d’Europa. Stiamo aspettando una risposta. Tutti vorremmo che lui diventasse uno dei cinque più forti, ma ancora non lo è e lui lo sa». Bum. Messa così, sembra una banalissima battaglia del grano: io ti chiedo e tu non mi dai, io ti offro e tu rilanci. Non è così, perché altrimenti ci sarebbero tanti di quei livelli intermedi per lambiccarsi su un accordo, una sfumatura e l’altra. Traducendo, per entrare tra i venti calciatori più ricchi bisogna sfiorare un guadagno tra i 9 e i 10 milioni stagionali. Adesso Dybala è a 7,5. La Joya ha invece un altro parametro, che sono i 12 che prende De Ligt, lo juventino più pagato dopo l’imparagonabile Ronaldo (31). Per lui quella cifra non è uno status symbol, ma un simbolo dello stato cui ambisce: vuole essere il giocatore chiave dei prossimi cinque anni di Juve e completare quel processo di immedesimazione cominciato quando la società gli consegnò la simbolicissima maglia numero 10. «In futuro lo vediamo capitano», conferma Agnelli. Ma il calcio è un mondo dove tutto ha un valore, anche il ruolo gerarchico all’interno di un gruppo: il leader tecnico di una squadra deve anche essere l’elemento più pagato, ogni deroga a questa regola tradisce non l’amore, ma la fiducia. In realtà, Paulo vorrebbe che un giorno o l’altro Paratici disegnasse una formazione su un foglietto, facendo un circoletto attorno al n. 10 e sistemando gli altri di conseguenza. Non è mai successo, né succederà almeno fino a quando ci sarà Ronaldo, che poi è la ragione per cui Dybala non è mai diventato non solo il simbolo della Juve, ma nemmeno un titolare imprescindibile. Fosse una storia d’amore, il terzo incomodo l’avrebbe mandata in pezzi.
L’offerta a Dybala la Juve l’ha fatta a luglio. Prima della pandemia sarebbe stata più generosa, ma adesso tocca stiracchiare i centesimi. A fine settembre l’agente del giocatore Jorge Antun è venuto a Torino senza però incontrare i dirigenti della Juventus: gli avevano fissato un appuntamento per il 5 ottobre, saltato all’ultimo perché la dirigenza era “in bolla” dopo due di positività. Antun è rimasto a Torino ancora tre settimane senza ricevere altri inviti, quindi è tornato a Cordoba e la trattativa è entrata in una fase di stallo: fosse solo una questione di soldi una quadra la si troverebbe, invece alla base c’è una palpabile sfiducia tecnica da parte della Juventus (i bianconeri possono mettersi nelle mani di uno che non sia tra i cinque migliori al mondo? direbbe Agnelli) insieme alla consapevolezza di Dybala di essere sempre nel limbo dei semititolari, per quanto di lusso.