Castellitto, il Natale di Eduardo per un Natale distanziati: che effetto fa?
«La decisione di fare questo testo è precedente alla pandemia ed è straordinario come assuma un significato attuale. A Natale, la festa della vicinanza e dell’abbraccio, vincono la distanza e il sospetto.
Questa commedia è un dono che abbiamo fatto a noi stessi e al pubblico. Gli italiani vedranno, in quella vicinanza di sentimenti, emozioni e conflitti che non possono permettersi di vivere».
Il suo legame con Eduardo?
«Giovane allievo dell’Accademia, con la tessera sconto studenti andavo a vederlo al Teatro Eliseo, una figura minuta che impietriva o divertiva.
Era come vedere una rockstar, era quello che avremmo voluto essere o diventare: ricordo il pubblico festoso e innamorato. Recitare Luca Cupiello è un privilegio».
Fa anche un po’ paura?
«Non ho paura perché sono una persona umile. Ho recitato un ruolo, non mi sono messo in competizione.
Sappiamo che drammaturgo e che immenso attore inarrivabile era Eduardo: mi sono limitato ad abbracciare il ruolo con naturalezza, guidato da De Angelis in modo fraterno. Ci ha accompagnato in questa gioielleria di emozioni, dove ti giri c’è un sentimento o un risentimento. In un mondo di adulti Lucariello è l’unico a giocare come un bambino, vuole ricucire i conflitti».
A casa Castellitto si fa il presepe?
«Lo facevamo tutti insieme, litigando sui personaggi da posizionare, ora i ragazzi sono cresciuti ma mi è venuta voglia di rifarlo. Sono sceso in cantina a prendere la scatola. Quando ero piccolo mio papà lo faceva, bello nell’artigianalità: la carta blu stellata, la stagnola per il corso d’acqua. Ogni anno comprava nuove statuine per allestire la messinscena. Un presepe è una messinscena».
Un po’ come il pranzo di Natale: non è anche la metafora dell’ipocrisia familiare?
«No, è un’esigenza affettiva e biologica ed è per questo che dobbiamo soffrire del fatto che non ci viene concesso di farlo. Gli italiani hanno dimostrato serietà. Avremmo potuto mediare su alcune cose, ma offrirci la possibilità di una riconciliazione. Poi le regole devono essere rispettate e le rispettiamo.
Resta il rammarico».
Oggi è possibile essere Lucariello
o la tecnologia ci ha tolto l’ingenuità?
«Rivendico il diritto di sentirmi ancora innocente, anche se so di essere un uomo, un regista e un attore esperto. Ma vorrei conservare intatta l’inadeguatezza. I Lucarielli esistono, eccome, e sono il vero patrimonio emotivo; persone semplici e eccezionali nello stesso tempo. Non sono social, sono individual: non entro nella frenesia del partecipare».
Pensa che solo i valori e le tradizioni ci rendano felici?
«Non abbiamo scampo se non teniamo stretto il passato, ci garantisce un’anima tridimensionale che oggi ci aiuta a vivere. O a sopravvivere. Fare anche altri film vuol dire tornare a un serbatoio di emozioni che è la drammaturgia di Eduardo».
Madre e figlia nella commedia sono gli opposti: una tira avanti, l’altra si ribella.
«Concetta non stima il marito, forse avrebbe voluto un uomo più greve ma disposto a nascondere lo scandalo: Ninuccia rappresenta il desiderio che l’amore vinca sulle apparenze. Cupiello sa che al suo capezzale non c’è Nicolino ma l’amante della figlia, e li sposa: "Vi dovete amare altrimenti mi prendo ‘o scuorno di morire"».
Per dirla con Eduardo, a suo figlio Pietro il presepe — ovvero il cinema — piace.
«I figli li ami a prescindere, li ami malgrado te. Non è detto che debba stimarli, ma quando ti accorgi di amarli e stimarli è il massimo. I miei mi danno sicurezza».
Come vorrebbe che reagisse il pubblico?
«Vorrei che piangesse e ridesse. Mi piacerebbe che il film accarezzasse gli italiani schiaffeggiati dal destino, spero che sia un vaccino e una carezza».