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 2020  dicembre 15 Martedì calendario

Il caso del piano pandemico che l’Italia non aveva

Volano gli stracci nel ministero della Salute. Domenica, nella trasmissione Non è l’arena su La7, il viceministro Pierpaolo Sileri ha denunciato «pressapochismo» dei vertici amministrativi, suggerito di «cacciarne qualcuno a calci nel sedere» e chiesto le dimissioni di Giuseppe Ruocco, segretario generale perno di tutta la struttura. Ma il bersaglio implicito dell’affondo è il ministro Roberto Speranza. Da mesi Sileri (ieri spalleggiato da Morra e Pirro del M5S) si lamenta, nel ministero e fuori, di «non toccare palla». Non siede nel comitato tecnico scientifico (eppure è medico, e pure bravo), non ne viene informato degli esiti, non partecipa alle riunioni importanti, è escluso dalle decisioni. Il ministero è governato dalla filiera Speranza, Zaccardi (capogabinetto di osservanza bersaniana, richiamato dalla pensione e poi prorogato), Rezza (direttore generale della prevenzione, membro del Cts e link con l’Istituto superiore di sanità) e Ruocco, capo della «macchina». Sileri, isolato, compensa con una presenza mediatica spesso «fuori linea».
La trasmissione era dedicata all’assenza di un piano pandemico, denunciata da un dossier dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicato il 13 maggio e inspiegabilmente rimosso l’indomani. La trasmissione di Rai3 Report ha svelato le mail con cui Ranieri Guerra, tra il 2014 e il 2017 direttore generale della prevenzione al ministero (competente sul piano) e ora assistente direttore generale dell’Oms, chiedeva ai ricercatori di edulcorare il dossier spiegando l’inopportunità politica di una critica al governo italiano. Sulla vicenda indaga la Procura di Bergamo, dopo che il comitato di parenti delle vittime del Covid «Noi denunceremo» ha scovato il dossier e commissionato una perizia secondo cui il piano avrebbe evitato 10mila morti. Guerra è stato sentito dai pm per cinque ore, ma l’Oms ha impedito le testimonianze degli autori del dossier, opponendo l’immunità diplomatica che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha chiesto di rimuovere con una lettera svelata in tv da Massimo Giletti.
Sileri, benché numero due del ministero, lo ha picconato come fosse all’opposizione, unendosi alla denuncia di inefficienza e opacità. Ha riferito di aver chiesto informazioni sul piano pandemico, invano. E ha chiesto la testa del segretario generale Ruocco, imputandogli cronico assenteismo dalle riunioni del comitato tecnico scientifico e reticenza sul piano.
Napoletano, 63 anni, medico, discreto pianista, Peppe Ruocco è un archetipo della burocrazia ministeriale. Del ministero (entrò nel 1984 occupandosi di sanità aerea) conosce ogni centimetro, anche a occhi chiusi. Democristiano come tutti i burocrati di vecchia scuola, zero scandali, collaborativo senza mai legarsi mani e piedi con i politici, «prossimo alla pensione» a ogni cambio di governo eppure sempre lì. Usato sicuro. Il che gli ha consentito di attraversare 11 governi in vent’anni, alla faccia dello spoils system. Cambiando 15 incarichi di vertice. Diventando nel 2017 segretario generale, nomina Lorenzin confermata da Grillo e Speranza. E reggendo contemporaneamente, in piena pandemia, anche tre delle dodici direzioni generali rimaste acefale. Tra cui quella, a lui cara (meno ai Cinquestelle), sui rapporti internazionali che lo porta in giro per il mondo. Dieci missioni, da Tokyo a Riyadh, solo nei sette mesi prima del blocco Covid.
Ruocco, pronto a riferirne ai pm bergamaschi, tra il 2012 e il 2014 elaborò il piano nazionale di prevenzione sanitaria. Un capitolo era dedicato alle malattie infettive delineando «i pilastri» dello specifico piano pandemico, imposto dall’Ue nel 2013 per vecchie (morbillo, Hiv) e nuove minacce come i virus influenzali tipo suina e aviaria, allora appena debellati. Poi Ruocco cambiò incarico, al suo posto arrivarono Guerra (2014-2017) e Claudio D’Amario (2018-2020, ora capo della sanità in Abruzzo). E il piano pandemico rimase lettera morta.