Il Messaggero, 15 dicembre 2020
Storia di Toro Seduto
Quando Toro Seduto partì in tournée con Buffalo Bill, nel 1885, era all’apice della sua fama. Il leggendario capo Sioux aveva inflitto la più cocente delle sconfitte agli stranieri che reclamavano le sue terre: aveva sterminato i battaglioni del Settimo Cavalleggeri agli ordini del generale George Armstrong Custer, nella battaglia di Little Bighorn. Ma aveva presto dovuto piegare la testa, ed accettare le condizioni degli invasori. Quando partì al seguito del Wild West Show del pistolero statunitense – che aveva ucciso il capo indiano Mano Gialla al grido di «ecco il primo scalpo per Custer» – Toro Seduto era ridotto alla stregua di un fenomeno da baraccone, ma non aveva per questo perso la dignità, né un briciolo di carisma. Si esibiva a cavallo, durante lo spettacolo, e incassava fior di bigliettoni, che spesso devolveva a favore dei poveri. Presto si stancò, e decise di tornare tra la sua gente, nelle praterie del South Dakota.
Oggi ricorre il 130° anniversario della morte del leader nativo più lucido e fiero che l’America ricordi. Un uomo che aveva capito perfettamente quale minaccia doveva affrontare, e che cercò di resistere fino alla fine allo sfruttamento delle sue terre.
AMBIENTE
La prima differenza che colse Toro Seduto, tra il suo popolo e quello invasore, fu la mancanza di senso del sacro, e di rispetto per l’ambiente. «Insudiciano la nostra madre terra – disse in un discorso – con le loro case e la loro spazzatura. La costringono a generare quando non è il suo tempo. E quando non dà più frutti la riempiono di medicine affinché generi ancora». Una vera e propria lezione, ancora oggi attuale quando si parla di agricoltura intensiva. Risulta difficile considerare arretrata la cultura dei nativi, che spesso mostravano un senso dell’etica maggiore degli occidentali. «Hanno fatto molte leggi – diceva il capo Sioux – e queste leggi i ricchi possono infrangerle, ma i poveri no».
La storia viene scritta, si sa, dai vincitori. E passò molto tempo prima che venissero riconosciuti più diritti ai popoli nativi, e che Hollywood celebrasse la loro cultura, rovesciando la vulgata dominante. Soltanto nel 1934 fu varata l’Indian Reorganization Act, che incoraggiò la sovranità tribale e invertì, in parte, il processo di privatizzazione delle terre. Nel cinema, il film che fa da spartiacque è forse Il piccolo grande uomo di Arthur Penn, con un giovane Dustin Hoffman che viene catturato dagli indiani e da loro allevato: finirà per essere disgustato dal comportamento dei bianchi.
Toro Seduto, il cui nome suona in lingua lakota Tatanka Yotanka (bisonte seduto) nacque nel 1831, in una vasta area tra South e North Dakota, che oggi fa parte della riserva indiana di Standing Rock. I federali avevano stipulato con la sua gente il Trattato di Fort Laramie, nel 1868. Ma la pace era destinata ad avere vita breve. Dapprima la minaccia prese le sembianze della ferrovia che la Northern Pacific Railway voleva costruire, e che doveva passare proprio attraverso le terre Sioux. Tra il 1871 e il 1873, i federali provarono diverse volte a fiaccare la resistenza degli uomini delle pianure, ma senza successo.
Poi arrivò la corsa all’oro. Sulle Colline Nere furono individuate ricche vene aurifere: si risvegliarono le brame dei bianchi, che fecero pressioni sul governo. Custer era arrivato con le sue truppe in avanscoperta, e voleva erigere una base permanente per permettere lo sfruttamento minerario. Ci furono trattative. Ma il capo della tribù degli Hunkpapa Lakota, il nostro Toro Seduto, non ne voleva proprio sapere di svendere la terra dei suoi antenati. Così, il presidente Ulysses S. Grant indicò le tribù locali come ostili, e diede licenza di uccidere ai federali.
Toro Seduto mise in atto un’ampia alleanza con altre tribù della zona, in particolare con i Cheyenne, che avevano subito gli attacchi di Custer. Il capo indiano disse di avere avuto una rivelazione: «Il Grande Spirito ci ha dato dei nemici da affrontare. Non sappiamo chi siano, ma lo scopriremo presto».
La battaglia di Little Bighorn avvenne il 25 giugno del 1876. Il generale Custer attaccò l’accampamento Lakota senza comprendere, effettivamente, quanto fosse grande e difeso. Dovette affrontare un esercito di duemila guerrieri, molti dei quali avevano lasciato il proprio villaggio per unirsi a Toro Seduto. Cinque delle dodici compagnie del Settimo Cavalleggeri furono annientate, e nello scontro perse la vita anche il generale: la leggenda, senza alcun riscontro, vuole che il capo indiano gli mangiò il cuore.
LA RESA
La vittoria ebbe un’eco vastissima, ma presto Toro Seduto fu costretto a riparare con la sua gente in Canada e poi ad arrendersi, nel 1881. Ma anni dopo, quando prese corpo una nuova minaccia, i federali si resero conto che non potevano lasciare in vita un uomo così carismatico, considerato un eroe dalla sua gente. Le tribù si erano riunite sotto un movimento che si riconosceva nel potere magico della Danza degli Spiriti, che permetteva di unire il mondo dei vivi con quello dei morti, e di spingere le forze dell’oltretomba a combattere contro gli invasori. Detto così, sembrerebbe una banale superstizione; ma le forze statunitensi avevano preso molto sul serio la minaccia sediziosa di questo movimento, sostenuto da un profeta nativo, che predicava la liberazione dai nemici attraverso la preghiera e la purificazione.
L’EPILOGO
L’ultimo atto avvenne nella stessa riserva di Standing Rock. Gli uomini venuti per arrestare il capo indiano si scontrarono con una strenua resistenza, e fu proprio un agente di origine indiana, mandato dai bianchi, a uccidere Toro Seduto e suo figlio Piede di Corvo. Oggi, il corpo del leader indiano riposa sotto un monumento a lui dedicato. Il suo enorme busto di marmo scruta con occhi torvi la grande pianura, a perenne monito dei torti subiti dagli invasori.