Il Messaggero, 13 dicembre 2020
QQAN66 QQAN30 Michael J. Fox ha scritto un’autobiografia
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Michael J. Fox non aveva nemmeno 30 anni quando gli fu diagnosticato il Parkinson. Aveva uno strano tremolio delle dita e gli facevano male i muscoli. «Potrai lavorare per altri dieci anni», disse medico. Era il 1991. Sei anni prima, era diventato una star grazie a Ritorno al futuro, il film di Robert Zemeckis prodotto da Steven Spielberg, in cui aveva interpretava il ruolo del protagonista, Marty Mc Fly, il giovane propulso nel futuro e dotato di mezzi supersonici con cui riusciva a sventare con millemetrica precisione i drammi a venire. Quel simpatico biondino zazzeruto, figlio di un agente della polizia canadese e cresciuto in un sobborgo di Vancouver, recitava da quando aveva 15 anni. Nel 1988 aveva sposato la bella Tracy Pollon, conosciuta sul set di una serie tv. Insieme, avevano già avuto un primo figlio.
LE GEMELLE
All’inizio, dunque, decisero di minimizzare, tennero la notizia segreta. Lui continuò a girare film e serie tv, anche se con crescenti difficoltà. Lei mise al mondo le gemelle Aquinnah e Schuyler, e dopo qualche anno l’ultimogenita Esmé, un prodigio d’intelligenza, come ricorda il padre in quest’autobiografia di un ottimista che non dispera nemmeno davanti alle tragedie più sinistre.
Il suo è un libro molto americano, grondante saggezza, speranza, voglia di rivalsa. Giocando su un’ampia gamma di emozioni, l’umiliazione autoinflitta, l’autoderisione, l’aspirazione alla perfettibilità, tenendosi sempre ben lontano dal lamento e dall’autocommiserazione, Michael J. Fox converte in luce il buio più nero, in speranza la disperazione e dischiude alla gioia di vivere la condizione più disarmante dell’esistenza, quella di un malato incurabile, affetto da una disturbo neurodegenerativo che lo rende un disabile e lo costringe a calcolare i propri passi, a misurare l’angolo d’inclinazione di un gradino, a prevedere la traiettoria di un bassotto lungo il marciapiede che lui stesso deve percorrere per raggiungere l’ ufficio a pochi passi da casa, e persino a anticipare i movimenti e la psicologia di chi lo spinge sulla sedia a rotella per passare il controllo antiterrorismo e prendere un aereo.
L’IDENTITÀ
Il malato di Parkinson ha un deficit neurologico nel coordinamento motorio, che comporta un gap nella percezione dello spazio e un disordine cronico nel modo in cui il cervello processa i segnali del dolore. Tutto ciò porta a una graduale diminuzione della sua identità fisica. Ogni giorno, per controllare la propria andatura, chi è affetto del morbo di Parkinson deve affrontare lo stesso enigma del principio indeterminazione di Heisenberg, il famoso fisico che scoprì la natura probabilistica delle leggi della meccanica quantistica, stabilendo che tanto maggiore è l’accuratezza nel determinare la posizione di una particella, quanto minore è la precisione con la quale se ne può accertare la velocità.
E però, da esperto attore, da sceneggiatore e narratore collaudato (questo è il suo quarto libro), e da filantropo creatore dell’omonima fondazione per la ricerca sul Parkinson e sulle staminali, Michael J. Fox evita la saccenteria, glissando con ironia sulla sua sorte avversa. Addirittura si diverte a raccontare le sue sventure, mettendo in scena se stesso, con le sue goffaggini da paziente impossibile che cerca di darsela a gambe levate dall’ospedale dove un esimio neurochirurgo gli ha appena asportato, con un intervento agli ultrasuoni, una rara forma di tumore Epindemoma al midollo spinale, con cui rischiava la paralisi.
E insiste nel sorridere persino dell’accanimento con cui il morbo non sembra dargli tregua, quando ricorda in dettaglio la talamotomia subita nel 1998 per distruggere le cellule che controllano i movimenti involontari. Ma leggendo questo libro, si scopre che ogni sua pagina, come ogni giorno della vita di Michael J. Fox, riesce a illuminarsi per l’amore di Tracy, dei figli e dell’intera famiglia.