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 2020  dicembre 13 Domenica calendario

Tra i banchi della Montessori


DESIGN SCOLASTICO. ISPIRATI DALLA GRANDE PEDAGOGISTA, GLI ARCHITETTI TERRAGNI, FIGINI E POLLINI PROGETTARONO SPAZI E ARREDI PER LE AULE PENSATI ESCLUSIVAMENTE PER IL BENESSERE DEL BAMBINOTra i banchi della MontessoriFulvio IraceLa casa  dei bambini.  Le indicazioni di Maria Montessori (1870-1952) esercitarono un forte appeal sui razionalisti per la riforma dell’edificio scolastico: «Non più quattro mura, ma ariosi e naturali ambienti innalzati tra il verde, circondati da natura e letizia»Il 31 ottobre del 1937 i bambini del quartiere operaio Sant’Elia a Como entrarono per la prima volta in una scuola che non assomigliava affatto a quei grigi edifici che, nella parola stessa «asilo», emanavano il tanfo di malinconici luoghi di ricovero per disagiati. Li attendevano invece candidi volumi che sembravano fatti di carta, generose vetrate affacciate su un grande cortile per giochi all’aperto, spazi luminosi che si protendevano verso un solarium dove riposare nelle calde giornate d’estate. Tutto il contrario, insomma, della “scuola-caserma” del secolo industriale dove le aule erano come una «fonda cella, spauracchio dei bambini».
La sorpresa maggiore però la trovarono all’interno: banchetti e sedioline leggeri e trasportabili al posto dei soliti “troni” di legno con sedia incorporata che parevano incatenati al pavimento; sgabelli per consentire alla maestra di sedersi all’altezza degli scolari; armadietti, attaccapanni e scaffali a portata di mano dei bambini.
Una vera rivoluzione, insomma, che portava la firma dell’architetto Giuseppe Terragni che aveva progettato questo capolavoro pensandolo come «una casa per una grande famiglia». Della casa voleva esprimere «le doti di gioconda accoglienza», l’apertura al sole, alla luce, al verde, alla natura.
L’idea della scuola come casa non era però di Terragni, ma di Maria Montessori (1870-1952), la celebre pedagogista di cui si celebra quest’anno il 150° anniversario della nascita, che aveva capovolto l’intero paradigma dell’educazione infantile scrivendo la prima carta dei diritti del bambino: nel 1909 usciva il suo Metodo della Pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile dove la teoria si verificava nella pratica di primi esperimenti. Nel 1907 infatti, su invito di Edoardo Talamo, direttore dell’Istituto Romano Beni Stabili, aprì a Roma nel quartiere San Lorenzo la prima «casa dei bambini», cui sarebbe seguita l’anno successivo quella milanese nel quartiere dell’Umanitaria in via Solari. Anche se all’inizio l’innovazione si limitò a un’ampia sala con annessi servizi e con uso del giardino condominiale adibito a campo di attività all’aperto, fondamentali erano l’intuizione del nesso vitale tra asilo e quartiere (che individuava la scuola come parte integrante della comunità) e la necessità di ribaltare la deprimente monotonia dei precetti ministeriali, ripensando radicalmente l’arredamento degli ambienti.
Partendo dal presupposto che vivere in un contesto salubre e stimolante favoriva l’emancipazione dei bambini (non più adulti imperfetti, ma esseri autonomi con una propria individualità), risultavano di primaria importanza la cura degli spazi comuni e la formazione di un ambiente sereno, riposante ed esteticamente attraente.
Terza donna a laurearsi in medicina, specializzata in neuropsichiatria, sensibile alle suggestioni della psicanalisi, rappresentante del “femminismo scientifico”, Maria Montessori non era però un architetto, anche se qualcuno l’ha definita un “designer inconsapevole”. Le sue indicazioni tuttavia esercitarono uno straordinario appeal per i giovani razionalisti, come Terragni a Como, o Figini e Pollini nell’asilo Olivetti ad Ivrea, che ne trassero spunto per la radicale riforma dell’edificio scolastico: «non più quattro mura, ma ariosi e naturali ambienti innalzati tra il verde, circondati da natura e letizia».
Nelle “case dei bambini” l’idea di costruire mobili adatti ai bambini che li avrebbero usati fu una delle più lungimiranti intuizioni, perché spostava il punto di vista dall’estetica del prodotto al suo uso, inaugurando in un certo senso quello che oggi si chiama interactive design: è sorprendente pensare che sarebbero passati almeno dieci anni prima che quest’idea trovasse terreno fertile nella scuola del Bauhaus dove la metodologia scientifica era di supporto per la sperimentazione formale.
Per la Montessori i mobili disegnati su misura del bambino erano indispensabili perché, a differenza degli asili tradizionali, nelle “case” ispirate al suo metodo gli arredi erano considerati strumenti educativi, al pari dei suoi famosi “giochi”: dovevano essere certamente funzionali e leggeri, ma anche stimolo per attività intellettive e di manipolazione. 
Oltre l’ergonomia, le sedie a rotelle e i banchi spostabili (oggi tornati d’involontaria e ironica attualità), la rivoluzione gentile della Montessori partiva dalla visione della scuola come casa, con spazi empatici e accoglienti capaci di suscitare un senso di appartenenza e di libertà. Perché i bambini potessero muoversi anche senza il diretto controllo degli adulti, bisognava che mobili, tavoli, sedie rispondessero al criterio della leggerezza: abolita la cattedra, anche la maestra si muoveva sullo stesso piano dei suoi allievi, in mezzo a tappetini su cui distendersi per lavorare in maniera informale, scaffalature di legno basse e poco profonde dove accanto ai libri si trovavano i cosiddetti materiali di sviluppo, piccoli giochi educativi che la Montessori definiva «una chiave che apre il mondo». 
Disegnati in larga parte da lei stessa, questi oggetti per le attività quotidiane di apprendimento precorrevano le marionette realizzate da Paul Klee per il figlio e formavano un sistema (tutt’oggi adoperato nelle scuole e nell’industria del giocattolo educativo) di piccoli volumi colorati, ordinati per dimensione e per forma, che consentivano al bambino di stabilire un principio d’ordine nel caos delle impressioni e stabilire un giusto equilibrio tra l’attività pratica e attività cognitiva. Il materiale didattico implicava dunque un packaging, essendo progettato per essere fruito in maniera organica e integrale, al punto da stabilirne anche la distribuzione e sistemazione nell’ambiente didattico.
Senza una diretta consapevolezza delle possibili implicazioni esterne, la Montessori preconizzava la pedagogia del design, utilizzava un modello scientifico con una progettazione globale, anticipava, alla scala del bambino, lo slogan modernista «dal cucchiaio alla città».