Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2020
QQAN93 Uno studio sulla toponomastica
QQAN93
Nessuno sembra saperlo, ma Google ha un modo semplicissimo di conoscere il vostro indirizzo personale, se non glielo avete detto esplicitamente: la quasi totalità di quelli che si collegano per la prima volta su Google Maps vanno a cercare casa loro. E quindi…
Ma che cosa può andare a cercare sul sito chi invece un indirizzo non ce l’ha? E che cosa vuol dire avere o non avere un indirizzo, e perché mai si dovrebbe avere un indirizzo, tanto per cominciare? Da quando si è cominciato ad attribuire indirizzi? L’indirizzo postale è oggi in una zona instabile, abitata dalla tradizione e attraversata da diverse forme di tensione sociale, in bilico tra un’epoca in cui non ci si muoveva più di tanto e non si inviava corrispondenza, e un’epoca in cui la mappatura automatica viene affidata al GPS e agli algoritmi.
Il lavoro ampio e documentato di Deirdre Mask, con un’introduzione militante di Liza Candidi nell’edizione italiana, racconta di società, governi e individui che a un certo punto hanno affrontato il problema di mettere un’etichetta identificante su un luogo. C’è la storia (la riforma del servizio postale inglese a opera di Rowland Hill, la numerazione delle case iniziata da Maria Teresa d’Austria, la numerazione delle strade americane a opera di William Penn, il trattato sugli indirizzi dell’Abbé Grégoire); c’è, affascinante, la tecnologia degli indirizzi e la logica degli strani codici con cui si barcamenano mittenti, destinatari e addetti delle poste; e ci sono soprattutto le controversie politiche intorno ai nomi che si impongono alle strade, dal movimento per cancellare i Confederati, ai tentativi di varie amministrazioni locali di rimettere sulle targhe certi piccoli gerarchi del Ventennio, con successiva correzione di tiro al cambio di amministrazione.
Questo punto è centrale nel libro, qui ciascuno ha la sua bestia nera, in molti a Milano saluterebbero un piazzale Cadorna rinominato – ogni volta che ci passo vedo sgorgare dalla lapide, che non riesce a trattenerlo, il sangue di decine di migliaia di soldati morti inutilmente per via dell’incompetente ostinazione del generale a lanciare offensive romantiche il cui insuccesso attribuiva poi alla scarsa forza morale dei fanti – li vedeva come losers, come direbbe oggi qualcun altro. Se rinominare non è facile, una politica che mi sembra poco seguita è quella dell’hackeraggio e del riuso: lasciare il cognome ma cambiare l’individuo, per evitare di turbare troppo le abitudini di chi abita nei dintorni, in particolare persone anziane che magari hanno bisogno di punti fissi e la cui memoria a lungo termine resta una risorsa per l’orientamento: per esempio c’è un fratello più mite del generale, il Carlo Cadorna (1809-1891); e visto che comunque nessuno ci tiene più di tanto a celebrare il Luigi, potremmo chiamare lo slargo Piazzale della Stazione Cadorna, con effetto di attenuazione.
Altro tema centrale, il rapporto tra indirizzo e diritti civili. La Banca Mondiale aveva cercato di affrontare il problema dello sviluppo partendo da una semplice considerazione: in molti paesi non si riesce a ottenere un prestito se non c’è una qualche forma di garanzia immobiliare, e non possono esserci garanzie immobiliari là dove non c’è catasto: come faccio a coprire il mio debito se non posso vendere un terreno o un immobile perché la sua proprietà non è registrata da nessuna parte? Nell’affrontare la questione emerse un sotto-problema: molte persone non avevano e tuttora non hanno nemmeno un indirizzo.
Niente indirizzo vuol dire non solo niente proprietà accatastabile, ma anche niente diritti, niente posta, niente trasferimenti bancari, niente buoni pasto. Se guardate le foto satellitari di certe megalopoli di paesi emergenti, e sovrapponete la griglia delle strade, trovate spesso una cartina muta: Dharavi, nel centro di Mumbai (Bombay), contiene quasi un milione di abitanti, che da qualche parte stanno e riescono ad arrivare a casa loro, ma come? Le ONG hanno lanciato dei progetti di indirizzario degli slums di Kolkata (Calcutta), collettivi come Doual’Art hanno proposto di disseminare nella città di Douala dei monumenti iconici che permettono di identificare i luoghi nelle conversazioni con i tassisti (lieu dit).
Poche sono le misure che possono vantare un così alto rapporto costi-benefici: a pochi centesimi a indirizzo, si creano le premesse per la cittadinanza di milioni di persone. C’è poi anche chi sottolinea che l’indirizzo nasconde un piano di controllo sociale, e se sicuramente così è stato in diversi progetti statali dell’Illuminismo, sono spassose le narrazioni della resistenza all’indirizzo da parte degli abitanti di aree remote del West Virginia, e ancor più spassose le indicazioni arzigogolate e sommarie che permettono all’autrice di raggiungerli e intervistarli.
Come mi è capitato di dire di altri libri che ci vengono dal Nuovo Mondo editoriale, c’è tutta una generazione di scrittori in cerca un equilibrio delicato tra informazione scientifica e intrattenimento, sotto l’egida del «divertire informando»o magari dell’informare divertendo. Questo libro non fa eccezione, informa e diverte, ma se faccio qui l’osservazione è perché penso che l’equilibrio non sia stato raggiunto sempre; anche la traduttrice sembra essere in imbarazzo, e dopo averci reso in modo perfettamente letterale una prima volta il significato scurrile di alcune antiche vie del Regno Unito, ha lasciato nell’inglese originale le successive occorrenze, che a questo punto perdono un po’ della loro salacità, ma permettono a chi legge di tirare il fiato e di concentrarsi sui punti importanti che sono veramente molti e, in alcuni casi, irrisolti.