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 2020  dicembre 13 Domenica calendario

Intervista allo stilista Paul Smith

Lo stilista britannico Sir Paul Smith, nato nel 1946, ha fondato la sua azienda di moda nel 1970. Nel 1991 è stato nominato Royal Designer for Industry, il più alto riconoscimento per la sua professione nel Regno Unito. Noto principalmente per l’abbigliamento maschile, oggi l’attività di Paul Smith si è espansa in oltre 70 Paesi. «Il segreto del mio successo è creare abiti molto portabili con una sorpresa inaspettata»
Come è arrivato alla moda maschile?
«È successo per caso. La mia prima passione è stata il ciclismo. Ero in ospedale a Nottingham dopo un incidente in bicicletta e ho stretto amicizia con altri pazienti dello stesso reparto. Quando siamo stati dimessi, uno di loro ha suggerito di incontrarci per un drink in un pub frequentato da artisti e stilisti . Avevo 18 anni e la svolta avvenne tre anni dopo, quando conobbi Pauline, una docente che insegnava design al Royal College of Art. Ci siamo innamorati e lei è venuta a vivere con me a Nottingham, dove volevo aprire un negozio che vendesse abiti insoliti per una città di provincia. Non avevamo abbastanza soldi per farlo per più di due giorni alla settimana e facevamo altri lavori per guadagnare».
Come è nato il suo marchio?
«Nel 1976 Pauline e io ci siamo trasferiti a Londra. I vestiti che stavo facendo erano piuttosto classici, non adatti ad attirare l’attenzione come, ad esempio, quelli di Jean Paul Gaultier: erano portabili anche se leggermente insoliti. Alla fine abbiamo acquisito abbastanza esperienza da realizzare una mini collezione di abiti da uomo che ho portato a Parigi, dove dormivo nella stessa camera d’albergo in cui vendevo anche i vestiti».
Quando ha aperto il suo primo negozio a Londra?
«Nel 1979, a Covent Garden. Aveva uno stile minimalista, con il pavimento di cemento e pareti bianche, e attirava una clientela creativa come i giovani architetti Norman Foster e Richard Rogers e il genio della pubblicità John Hegarty».
Perché i suoi vestiti sono diventati così popolari in Giappone?
«Nel 1980 ho incontrato un giapponese che viveva a Parigi e cercava giovani talenti in Europa. Per il Regno Unito scelse me. A quel tempo gli stilisti internazionali stavano cercando di espandersi in Giappone e quindi ho preso la cosa molto sul serio. Ma gli altri stilisti invitati erano troppo arroganti, secondo me. Non si sono impegnati molto e volevano solo fare soldi. Ci sono andato quattro volte in otto anni e lentamente è nato un vero interesse da parte della stampa e del pubblico, perché stavo abbracciando il Giappone e mi interessava la loro cultura, la loro storia e il loro cibo».
Oggi la Cina sembra mantenere viva l’industria della moda. Lei è presente su quel mercato?
«I miei negozi sono molto popolari a Hong Kong, che è più internazionale, ma nella Cina continentale siamo appena alla sufficienza. A loro piacciono i loghi e le marche di lusso perché sono nuovi ricchi e la moda è un simbolo del loro successo. I miei sono solo bei vestiti, non uno status symbol».
Qual è l’età media dei suoi clienti?
«Oggi è più alta e quest’anno abbiamo festeggiato il nostro 50 ° anniversario, con clienti di incredibile fedeltà e più maturi, tra i 38 ei 45 anni. Ma abbiamo iniziato a vendere online nel 2004, prima degli altri, e molti ventenni acquistano da noi. L’’etichetta chiamata PS attira sicuramente l’interesse dei millennial».
Vende di più nei negozi o online?
«In questo momento, con il virus, il nostro online è del 50% in più rispetto allo scorso anno, ma sfortunatamente questo non compensa la chiusura della maggior parte dei negozi europei e asiatici».
Vendete più vestiti o accessori?
«Siamo un’azienda insolita. La maggior parte dei grandi marchi come Prada sono prevalentemente aziende di accessori, in particolare borse da donna, ma in Paul Smith vendiamo molti vestiti. Non dipendiamo dalle vendite di borse».
Che cosa si vende di più?
«In tempi normali abiti, giacche, pantaloni e soprattutto cappotti. Ma in tempi di isolamento molti stanno a casa e online acquistano felpe, pantaloni con coulisse, pantaloni casual in jersey di tessuti a maglia, vestiti per la casa più comodi».
Dove vengono prodotti gli abiti?
«Per lo più in Italia. Ci piacerebbe fare di più in Inghilterra, ma negli Anni 70 e 80 la produzione in Inghilterra è diminuita a favore delle industrie dei servizi».
Perché è famoso per i colori?
«Quando nel 1982 mia moglie Pauline ha deciso di smettere di disegnare le collezioni per studiare alla Slade School of Art, ho assunto io il suo ruolo. Mi mancava la sicurezza per disegnare abiti troppo complicati e, quindi, ho aggiunto due cose inaspettate: fodere o bottoni insoliti e poi il colore, che è diventata la mia firma "per caso"».
Come trascorre le sue vacanze?
«Pauline e io amiamo la nostra casa in Italia, vicino a Lucca. Trascorriamo lì cinque settimane ogni estate e lo facciamo da oltre 30 anni».