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 2020  dicembre 13 Domenica calendario

La Silicon Valley trasloca in Texas

Finiremo tutti per cantare «Texas Dreamin’», invece di sognare la California come facevano i Mamas & the Papas negli Anni 60? La domanda diventa urgente, dopo che la Oracle si è aggiunta a Tesla, HP e altre grandi aziende digitali, abbandonando la Silicon Valley per la terra della battaglia di Alamo. E la risposta è cruciale, perché non riguarda solo il futuro economico di questi stati o del settore tecnologico, ma anche l’equilibrio culturale e politico degli Usa.
Oracle era stata fondata nel 1977 a Santa Clara, perché allora la California era il cuore della rivoluzione digitale e attirava tutti gli innovatori. Venerdì però ha annunciato che trasferirà il quartier generale da Redwood City a Austin: «Stiamo attuando - è stata la spiegazione data alla SEC - una politica di collocazione del personale più flessibile. Crediamo che ci metterà in una condizione migliore per crescere, offrendo ai dipendenti la scelta di lavorare in ufficio, o continuare a farlo da casa, part time o a tempo pieno».
L’azienda di Larry Ellison non è la prima, e neppure l’unica a farlo. All’inizio del mese la Hewlett Packard Enterprise, altro ex mito della Silicon Valley, si è trasferita a Houston, mentre Elon Musk non solo ha deciso di costruire la nuova fabbrica della Tesla in Texas, dove sono già basate le sue attività spaziali, ma ha annunciato che andrà a vivere a Austin. Parlandone col Wall Street Journal, ha sferrato un calcio alla California: «Si è abituata agli innovatori, ormai li dà per scontati. Ma quando nella foresta ci sono troppi alberi giganti, i nuovi germogli faticano a crescere».
Il fenomeno ha almeno due facce. La prima è la generale fuga dalla California, da dove secondo uno studio di Spectrum Location Solutions 660 compagnie hanno trasferito altrove 765 sedi, fra il 2018 e il 2019. Le autorità locali sottolineano che le loro condizioni restano migliori, perché gli altri Stati dovranno aumentare le tasse per offrire infrastrutture e servizi necessari. Per le aziende digitali il problema sta nei costi proibitivi di uffici, case, e della vita per i dipendenti, oltre alle tasse più alte, il traffico, i disagi del sovraffollamento. Pagare questo prezzo aveva senso, fino a quando il lavoro si faceva di persona, e bacini come l’università di Stanford aiutavano a reclutare i migliori talenti. Il Covid però ha obbligato tutti a restare a casa, e le aziende hanno scoperto nuove modalità che in molti casi diventeranno permanenti, rendendo meno essenziale la presenza fisica nella Silicon Valley.
La seconda faccia del fenomeno riguarda dove andare, e il Texas sta emergendo come l’alternativa più attraente. Non è l’unica, perché la Palantir di Peter Thiel si è trasferita in Colorado, mentre crescono la Silicon Mountain di Denver, la Silicon Peach di Atlanta, la Silicon Slopes di Salt Lake City. La Silicon Prairie di Dallas, Austin e Houston sembra però in vantaggio, a giudicare dalle ultime mosse.
Il Texas è il secondo Stato più grande degli Usa dopo l’Alaska, e si piazza subito dopo la California in termini di popolazione e Pil. Nell’immaginario collettivo è lo Stato del petrolio, i cowboy, i ranch per allevamento e agricoltura, nonché dell’immigrazione illegale e il narcotraffico. Però ha anche una solida tradizione tecnologica, come ricorda l’angoscioso allarme «Houston, we have a problem», all’epoca in cui da qui la Nasa gestiva le missioni sulla Luna.
Oltre all’economia, è importante capire quali effetti socio-politici avrà questo mutamento epocale. Sarà la cultura liberal importata dalla Silicon Valley a cambiare il Texas, oppure l’anima conservatrice del Texas rivoluzionerà il mondo digitale? Molti imprenditori in fuga dalla California, tipo Thiel, sono stati vicini a Trump, e lo stesso vale per Ellison e Musk. Ma basterà la loro inclinazione personale a cambiare la cultura delle proprie aziende, oppure il liberalismo necessario per l’innovazione tecnologica rivoluzionerà la demografia dello Stato, diluendone il conservatorismo?
Dalla risposta potrebbe dipendere il futuro della Casa Bianca. I democratici da anni sognano di riconquistare il Texas, puntando sul voto ispanico, che però nelle elezioni del 3 novembre ha dimostrato di essere più variegato e complesso di quanto pensassero, preferendo spesso Trump. Il cambiamento demografico dovuto all’immigrazione della cultura liberal digitale potrebbe invece risultare più affidabile, anche se è inferiore nei numeri e richiederà più tempo per radicarsi. Se rendesse il Texas democratico, come già la California e New York, i repubblicani sarebbero costretti scordarsi la Casa Bianca per diverse generazioni.