ItaliaOggi, 12 dicembre 2020
Orsi & tori
Chi sono i ministri che non buttereste giù dalla torre?Sì, certo, è un gioco pericoloso, non solo per l’altezza della torre, ma anche per il momento delicatissimo del governo. Ma siamo alla fine dell’anno e bisogna pur tirare le somme, per capire se chi governa da parecchi mesi sia in grado o meno di portare in salvo l’Italia. Tutto ciò al netto delle polemiche. Il primo da non buttar giù è quel ragazzo dalla faccia pulita, anche se con barba, che è a capo del ministero delle Sanità. Roberto Speranza, in quota a Leu, cioè coloro che sono rimasti più vicini al vecchio Pci. Ha 41 anni e ha mostrato di avere la serietà e la pacatezza che servirebbero sempre a chi governa. La sua serietà è stata certificata dal suo consulente, Walter Ricciardi, ai vertici dell’Organizzazione mondiale della sanità ma politicamente dalla parte di Carlo Calenda. «Ad aprile avevamo già il piano per la seconda ondata», ha spiegato il professor Ricciardi. «Ma poi il ministro, che ha idee chiare e precise, è andato in Consiglio dei ministri, poi ha parlato con il presidente del Consiglio e con Stato-Regioni e non si è potuto far niente». Ego, quanto è successo da settembre in poi non sarebbe successo se avessero seguito le richieste del ministro Speranza. Che ha confermato la sua serietà e precisione rispondendo nei giorni scorsi a Bruno Vespa, a Porta a Porta, sul tema scottante esploso a Venezia, sul piano del Covid a cui sarebbe stata cambiata la data. Con la semplicità con cui avrebbe risposto Guido Carli (Speranza si è laureato in economia nell’università che porta il nome dell’ex governatore della Banca d’Italia), il ministro ha spiegato che nel 2006 non ci poteva essere, per forza di cose, un piano per il Covid.
Talvolta anche da un partito di poche anime può saltar fuori un ministro vero.
E chi lo avrebbe mai detto un anno fa che Luigi (Giggino) Di Maio sarebbe balzato sul gradino più alto del podio. Una vera trasformazione. Un apprendimento rapidissimo, una vera spugna di concetti, di modi, di temperamento assorbiti da chi gli sta vicino. Un po’ di meraviglia ce l’avrei, se solo ripensassi al discorso fatto a Shanghai, in occasione della prima edizione del China international import expo, agli operatori italiani dopo un’attesa di oltre un’ora per dire cose ovvie ma tutte dirette a una captatio benevolentiae, subito seguite alla disponibilità a fare selfie con tutti. Evidentemente la stoffa del politico c’era ma, appena trentenne, aveva bisogno di buoni consiglieri. E agli esteri gli ambasciatori, i consoli, i capi di dipartimento sono tutti portati a dare consigli. Di Maio è stato spesso schernito perché non laureato ed ex bibitaro allo Stadio San Paolo, ora Maradona. Critiche facili quando doveva sostenere la parte dello scatenato e fazioso 5Stelle. Nel primo governo era addirittura capo di due ministeri, ma sparava soprattutto propaganda. Istituzionalizzato agli Esteri, è diventato il più misurato e saggio dei ministri. Non a caso per cambiare si è tirato fuori dal ruolo di capo del movimento, non dovendo così più fare le sparate necessarie per tenere attaccati i seguaci dello stesso movimento. Intervistandolo, quella volpe della politica che è Bruno Vespa è arrivato a dire che il lungo decalogo inviato dal ministro a Il Foglio equivale a un programma di governo. E da alcune settimane anche i più duri avversari cominciano a moderare le critiche e a non poter contraddire le sue affermazioni.
Resta la sua mancanza di status, di laurea, di conoscenza fluida dell’inglese: «Ma anche Pasteur non era laureato», dice il suo consigliere principale.
Dalla sua parte ha la giovanissima età, più o meno quella di Giulio Andreotti quando cominciò la lunghissima carriera. Il suo maggior handicap: non ha alle spalle né la Dc, né il Pci, né il Psi, che a parte avere le scuole di partito, facevano fare ai massimi dirigenti un cursus honorum a partire da assistente di un consigliere comunale fino ad arrivare in Parlamento.
Ma allora non c’erano i social e Di Maio ha cavalcato attraverso Rousseau l’onda della politica fatta sulla rete. Non che ora abbia smesso di fare le dirette su Facebook, ma si contiene. E del resto per la democrazia che conosciamo, i social hanno fatto la rivoluzione. Un politico viene giudicato non a fine mandato, ma dopo due secondi da una sua azione. Inevitabilmente reagisce con gli stessi mezzi. Potrebbe essere la democrazia diretta, che lo stesso Di Maio ha teorizzato seguendo il pensiero di Gianroberto Casaleggio e di Beppe Grillo, che si è fatto le ossa di politico (anche se particolare) andando a fare il contestatore nelle assemblee dei grandi gruppi come Telecom Italia.
Questa forma di democrazia porta alla non democrazia, o comunque una democrazia completamente nuova, da costruire. Una vera e propria rifondazione. C’è da augurarsi che Di Maio sia consapevole di ciò e che la sua maturazione, il suo mutamento lo portino a dare un contributo significativo per una nuova forma di democrazia, ma dove comunque tutti, ma in particolare i politici, non possono essere acclamati o distrutti in maniera spesso deformata sui social.
Il problema vero di Di Maio è come mantenere per il futuro il peso elettorale con un Movimento che è precipitato al 15% e che rischia di scendere ancora di più. Per questo il giovane ministro degli Esteri si tiene lontano dalla guida formale del Movimento. E per questo cerca di compiere ogni sforzo per evitare crisi di governo. Sa che il tempo gioca a suo favore, anche per la sua età.
Anche se un altro 5Stelle merita di non essere buttato giù dalla torre per la sua preparazione e attenzione naturale da ingegnere (è il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli), l’ultimo posto sul podio è un testa a testa fra due pd, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, eurodeputato di lungo corso, è stato anche per una legislatura presidente della commissione Finanze del Parlamento Europeo e il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola.
Amendola può essergli di grande aiuto e lo è, vista l’ottima conoscenza che ha delle regole europee e la capacità di dire, come ha fatto di recente, da che cosa è effettivamente composto il Recovery Fund. A qualcuno non avrà fatto sicuramente piacere scoprire, dalle parole di Amendola, che porta il cognome di un grande esponente del Pci mentre in realtà è figlio di un medico napoletano dichiaratamente democristiano, che la componente a fondo perduto del Fund è limitata e il rimanente sono prestiti e fondi che sia pure in tempi lunghi nel tempo l’Europa avrebbe comunque erogato.
Creare miti, senza spiegarli, è uno dei peggiori atti che si può compiere in politica. I cittadini devono poter conoscere con precisione fatti così decisivi per il loro futuro come il Recovery Fund e a spiegarlo in maniera molto chiara è stato Amendola, pochi giorni fa, su MF-Milano Finanza.
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Non che tutti gli altri ministri siano da buttare senza pietà giù dalla torre e qui si evita il giudizio sul presidente Conte, un esempio di come un professore di diritto privato, abile avvocato, selezionato dal Movimento 5Stelle per fare il ministro delle Riforme, sia balzato a Palazzo Chigi, riuscendo finora a conservare la poltrona. Qui non si entra nel merito se ha fatto bene o male, perché certo a nessuno prima era capitato fra capo e collo il Covid. Ma certo a questo giornale non è piaciuto affatto il vizio, specialmente nelle conferenze stampa, di parlare sempre in prima persona. La figura del presidente del Consiglio dovrebbe essere la sintesi del governo, sia pure nel rispetto delle prerogative specifiche di coordinatore dei ministri. Ma proprio per il fatto che non è, come in altri Paesi, eletto direttamente dai cittadini e per di più non è stato neppure eletto in Parlamento, dovrebbe usare sempre il noi. Noi che siamo il governo. Chi sa che cosa ne pensa di questo vezzo (è solo un vezzo oppure sono i consigli che gli dà il suo capo della comunicazione, che ha riempito i telegiornali di camminate atletiche di Conte nei corridoi di Palazzo Chigi?) il suo maestro e mio compagno di università, il professor Guido Alpa? Dalla bocca di Guido non uscirà mai una parola pubblica. Ma qualche consiglio al presidente Conte sicuramente glielo avrà dato o potrà darglielo. Credo che comunque gli servano, nonostante goda della consulenza di un politico e uomo straordinario come Gianni Letta.
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Qual è la motivazione e il senso di questa breve rassegna dei ministri sulla torre del governo? Una e una soltanto. Ripetere che senza una grande qualità degli uomini di governo il Paese non potrà farcela. La capacità e l’autorevolezza devono emergere e devono essere valorizzate. La partita che il Paese, l’Europa e il mondo stanno giocando è forse unica nella storia del mondo. Aver raggiunto un livello altissimo delle scienze e delle tecnologie ma scoprire che un virus chiamato Covid-19 può far crescere in maniera esponenziale la disoccupazione, la povertà a fronte di una crescita enorme di ricchezza da parte di chi è diventato (gli Ott) il padrone del mondo, più potente dei capi di Stato e di governo perché può permettersi di censurare il presidente degli Stati Uniti, che dice spesso sciocchezze ma che ha tutto il diritto, anzi il dovere, di far sapere agli elettori quali sono i suoi difetti, le sue colpe, le sue arroganze. La conoscenza è l’essenza della democrazia, e gli Ott sono diventati gli oligarchi del mondo, capaci non solo di censurare ma di gestire come vogliono l’informazione, strumento e artefici di una tale rivoluzione della democrazia, i cui danni saranno ben superiori a quelli del Covid. Per cui non basta che il mondo si possa riprendere dal lato dell’economia e della salute. Ma serve, contemporaneamente, che questi Oligarchi siano ricondotti a un ruolo di rispetto delle norme e delle regole di una corretta informazione per una corretta democrazia, che sia pure da innovare non potrà esistere senza una corretta informazione e quindi conoscenza dei cittadini per poter scegliere e non farsi guidare e comandare dagli algoritmi
Solo politici seri, preparati, onesti, consapevoli del momento, possono realizzare, nel mondo, con esito positivo, la rivoluzione in atto e per ora sempre più dominata dagli oligarchi.