Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2020
La normalizzazione di Israele con l’Islam non basta per la pace
Donald Trump ama definirli storici accordi di pace. Il suo amico d’oltreoceano, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ne enfatizza l’importante impatto sul Medio Oriente. Ma è davvero solo una grande operazione di diplomazia e pace?
Nessuno fa nulla per nulla. Men che meno se si tratta di Paesi arabi, che avevano più di qualche attrito con Israele. Più che Gerusalemme, che vede ridursi il suo isolamento nel mondo arabo, a guadagnarci dagli accordi di Abramo, il processo di normalizzazione con Israele avviato la scorsa estate dall’Amministrazione Trump, sembrano essere i Paesi musulmani che vi hanno aderito. In ordine di tempo: Emirati Arabi Uniti (finora il Paese più ricco e importante), il Bahrein (il più strategico), il Sudan (il meno atteso) e il Marocco (il più lontano).
Con il solito tweet a cui ha abituato il mondo, Trump ha annunciato mercoledì, l’ultimo accordo. «Un’altra svolta storica oggi. I nostri due grandi amici, Israele e il regno del Marocco, hanno concordato di ristabilire complete relazioni diplomatiche, una svolta enorme per la pace in Medio Oriente!». Poi, è arrivato un secondo annuncio. E non è certo una «svolta enorme per la pace». Anzi rischia di acuire le tensioni nel Nord africa occidentale e nel Sahel orientale, che di tensioni in questi anni ne soffrono già troppe. «Oggi ho firmato una proclamazione che riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale», ha aggiunto Trump.
Il Western Sahara non è solo un esteso territorio, fatto di pietre, sassi e tanta polvere. Si affaccia su un mare molto pescoso, vanta grandi riserve di fosfati e potenziali giacimenti di idrocarburi. Su questo Stato conteso, di fatto annesso dal Marocco a partire dal 1975 con la “marcia verde”, è rivendicato da decenni dal Fronte del Polisario, un movimento politico e militare sostenuto ospitato dall’Algeria, che ha dichiarato l’indipendenza proclamando la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi.
Insomma, a un mese dalla fine del suo mandato, Trump è deciso a plasmare il mondo con iniziative unilaterali. Lo aveva già fatto quando aveva unilateralmente riconosciuto i numerosi insediamenti israeliani eretti nella valle del Giordano, ovvero una parte consistente (circa il 30%) della Cisgiordania, il territorio che, secondo la Road Map, avrebbe dovuto far parte del futuro Stato palestinese. E allo stesso modo aveva, sempre unilateralmente, riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, trasferendovi poi l’Ambasciata(e si era unilateralmente ritirato dall’accordo sul nucleare con l’Iran). Gran parte della Comunità internazionale, come Onu e Ue, continua a considerare questi riconoscimenti contrari alle leggi internazionali.
Le contro partite concesse ai firmatari degli accordi di Abramo, che i più critici non faticano a definire come un mero baratto, non sono certo irrilevanti. Gli Emirati, infatti, otterranno dagli Usa gli ambitissimi F-35, i caccia di 5a generazione che offrono superiorità aerea. Il Bahrain, regione vicina all’Iran con maggioranza sciita, otterrà una maggiore protezione americana. Il Sudan invece sarà rimosso dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo. Una decisione che avrà forti ripercussioni. Prima fra tutte le possibilità di ricevere aiuti vitali da parte delle organizzazioni finanziarie internazionali. Senza contare la possibilità di acquistare dagli Usa droni militari americani. Quanto al Marocco (oltre ai droni), l’ombrello americano del riconoscimento della sua sovranità sul Sahara Occidentale, è forse finora la contropartita più rilevante.
Ma a ben vedere gli accordi con tutti i membri del “club di Abramo” non sono storici accordi di pace come quelli firmati con Egitto (1979) e Giordania (1994). Questi ultimi erano nemici contro cui Israele aveva combattuto più guerre. Nemici ai confini. Gli accordi di questa estate sono normalizzazioni con Paesi musulmani geograficamente (e fisicamente) lontani dal conflitto israelo-palestinese. Il che rende tutto più facile.
Non bisogna quindi crearsi troppe illusioni. Questi accordi non contribuiscono a ridimensionare la minaccia rappresenta dall’Iran, la vera priorità per Israele. Ed è improbabile che scalfiscano la determinazione del neopresidente Joe Biden a far rivivere (o provarci a farlo) l’accordo nucleare firmato nel luglio 2015 tra l’Iran e il gruppo 5+1. Infine, non contribuirà in a risolvere il conflitto israelo-palestinese. Anzi, il processo voluto da Trump cozza contro l’iniziativa araba del 2002, ideata e guidata dalla Corona Saudita, secondo cui Israele doveva ritirarsi da tutti i Territori occupati (quelli oltre la linea verde), in modo poi da ottenere la normalizzazione dei rapporti con il mondo arabo, e una sorta di cintura di protezione contro la potenziale espansione iraniana. Ecco perchè, per quanto di parte, il titolo di un’analisi del quotidiano Hareetz – Pace per pace ? L’accordo tra Israele e Marocco è occupazione in cambio di occupazione -illumina le contraddizioni insite negli accordi di Abramo.