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 2020  dicembre 12 Sabato calendario

QQAFA20 Riscoprire Carlo Porta

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Carlo Porta morì per una febbre gastrica il 5 gennaio del 1821, dunque giusto due secoli fa. Lasciava una Milano in fermento. Fare i patrioti costava la galera: l’Austria, rientrata a Milano dopo il dominio francese, era diventata dispotica. Nello stesso anno, il 5 maggio, moriva a Sant’Elena Napoleone. “Ei fu” decretò Manzoni “sciogliendo all’urna un cantico/che forse non morrà”. Manzoni era amico, anche se non intimo, di Carlo Porta. All’epoca non aveva ancora messo mano al romanzo che avrebbe raccontato la Milano spagnola del ’600 così come Porta aveva raccontato in maniera superba quella a lui contemporanea. Tutti e due mescolavano il popolo e i signori in vena di ostentazione e di soprusi. E i preti. Don Abbondio e Perpetua potevano anche uscire dalla penna del Porta. Una volta Dante Isella, che della letteratura lombarda è stato il maggior studioso e che di Porta ha prodotto l’edizione critica delle poesie e molto altro, ha osservato che tra Porta e Manzoni c’è quella somiglianza che si trova nelle persone della stessa famiglia. Non poteva dir meglio. Che se poi si allarga la famiglia e si sale all’indietro fino agli anni del Caffè e di Parini, dei Verri e di Beccaria, si scoprono le radici e quanto avanzata fosse la cultura illuminata di allora. Porta guardava con devozione a Parini, che già si era impegnato nella difesa del dialetto milanese contro un certo padre Onofrio Branda e che lui avrebbe difeso contro Pietro Giordani. Manzoni poi era figlio di Giulia Beccaria e, anche se non ufficialmente, di Giovanni Verri. Milano aveva, negli anni di Porta, centotrentamila abitanti e il dialetto era diffuso a tutti i livelli sociali. Lo parlava il popolino, la plebe dei Giovannin Bongee, Marchionn di gamb avert, Ninetta; lo parlavano i nobili, mescolandolo con un italiano forbito, come la marchesa Cangiasa nellaNomina del cappellan o Donna Fabia Fabron de Fabrian nella Preghiera. Lo parlavano i preti. In quegli anni era successo che prima Giuseppe II e poi Napoleone avessero deciso di chiudere molte congregazioni religiose. In sostanza i preti erano andati a spasso e ora sostavano nelle piazze (come i vetturini, o vicciurinatt per dirla col Porta) in attesa che qualcuno richiedesse i loro servigi. Anche nella famiglia Porta si erano fatti carico di qualche parente ecclesiastico senza più casa né desco, ma il padre di Carlo era un piccolo banchiere e dunque non gli mancavano i mezzi. Anche Carlo, che con gli studi si era fermato all’altezza, diremmo oggi, del liceo, sarebbe entrato nella banca del padre. I preti mescolavano il dialetto con il latino. El Miserere è il racconto di una funzione funebre in cui a voce alta si cantano le preghiere in latino e a voce bassa si spettegola di mangiare e d’altro ancora. Un capolavoro. Che per altro comincia parlando del dialetto: “Vuna de sti mattin tornand indree /De la scoeura de lingua del Verzee”, cioè tornando dal mercato dove servi e rivenditori regalano la loro erudizione gratis ai poeti. È lo stesso mercato dove la Ninetta serviva al banco del pesce della zia in mezzo ai motteggi e alle scoperte allusioni sessuali dei clienti: allusioni che lei fu in grado di capire solo dopo aver ceduto alle pressanti richieste erotiche del Pepp, garzone di parrucchiere. Il sesso è un altro grande protagonista della poesia portiana (mentre su questo tema Manzoni, che al Porta sopravvisse di mezzo secolo, si concedeva appena un’allusione). Quando Giovannin Bongee nel secondo poemetto che lo riguarda rievoca l’“affaire” del soldato francese che gli aveva detto in faccia che gli piaceva molto la Barborina sua moglie e che voleva andare a letto con lei, sembra di capire che la medesima Barborina forse non era proprio contraria. E quando Ninetta nell’illustrare apertis verbis la sua educazione sessuale racconta della zia con cui viveva da ragazzina dice subito che questa zia “l’eva una tetton/ matta, allegra” per quanto le era possibile e oltre al mangiare e al bere la sua grande passione era quella “de fassela fregà” e in quanto a questo, niente di nuovo, “desdott in fira e fresca come on oeuv”. Per mantenere il Pepp, che le mangia tutto quello che può arraffare, Ninetta si dà al mestiere ed è appunto intrattenendo un cliente abituale che racconta tutta la sua storia. La Ninetta è tra i capolavori del Porta. Un capolavoro per molto tempo nascosto per moralismo: quando esce nel ’17 la prima raccolta delle poesie del Porta, la Ninetta non c’è e non ci sarà nemmeno nella raccolta postuma del ’21, allestita dal suo devoto amico Tommaso Grossi. Perfino nel ’900 molte edizioni non contemplano la Ninetta e ce ne è una, a ridosso della seconda guerra mondiale, curata da Severino Pagani, in cui la Ninetta è in un fascicolo a parte. Capitò anche al Belli di vedersi confinare le poesie oscene in un volume separato. Proprio leggendo Porta a Milano, Belli comprese la forza del dialetto e innalzò poi il suo monumento alla plebe di Roma. Erano tutti e due poeti da leggere a voce alta, fortemente teatrali e non per nulla Porta ebbe il plauso di Foscolo e di Stendhal e Belli quello di Gogol’. Paradossalmente, mentre si combatteva per diffondere la lingua italiana o per impadronirsene (vedi Manzoni e la sciacquatura in Arno) proprio due poeti dialettali risultano tra i più grandi del secolo. Due campioni di realismo. Carlo Porta si era schierato con i romantici nella battaglia contro i classici, ma aveva rovesciato subito i ruoli per innato gusto comico: “Mi romantegh?” si interrogava, so bene che mi prende in giro: “mi sont classegh fin dent el moll di oss/mangi, bevi foo el porch in Elicona/ e ai romantegh per mi ghe caghi adoss”. Delio Tessa (L’è el dì di mort, alegher!) leggeva volentieri in pubblico le poesie del Porta e Carlo Emilio Gadda, non per nulla Gran Lombardo, quando Isella pubblicò negli anni Cinquanta la già citata edizione critica, lavorando al terzo programma della Radio, gli dedicò una recensione a due voci di oltre quaranta minuti. Oggi non è difficile trovare le poesie di Carlo Porta: ci sono anche nei Meridiani e le difficoltà col dialetto si superano con un po’ di buona volontà. Negli ultimi tempi Porta stava lavorando ad un poema intitolato La guerra di pret che non riuscì a portare a termine.