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 2020  dicembre 12 Sabato calendario

La Street Art spiegata da Hogre

Hogre è stato molte cose: una firma sui muri delle periferie di Roma, un artista che ha annunciato la sua dipartita e bruciato le sue creazioni, un anti-brand della comunicazione che occupava e occupa con le sue opere gli spazi pubblicitari, un anarchico senza volto che nelle prime notti di coprifuoco ha dipinto un bacio sulla tamponatura in cemento di un acquedotto romano e poi, durante la seconda ondata, è tornato in strada per denunciare con un trittico ispirato a

L’assemblea degli animali di Filelfo (la fiaba lanciata da Robinson e ora divenuta un libro Einaudi Stile libero) la devastazione della natura e l’irresponsabilità dell’uomo.
Lo contattiamo via mail, accetta di incontrarci nel suo studio, un ex negozio dalle vetrine oscurate al piano terra di un palazzo della periferia romana, nessun nome sul campanello.
Cosa è oggi Hogre?
«Proprio come tanti mostri dell’immaginario moderno – la creatura del dottor Frankenstein, il mostro della palude, l’uomo lupo, i Freaks di Tod Browning fino ad Elephant Man di David Lynch – Hogre è per la “normalità” uno specchio, in cui l’altro si mostra. Anche il mostro però si riflette nella normalità e in questa doppia esposizione risiede l’origine delle sue sofferenze: più si specchia più capisce qualcosa di se stesso, riconosce la sua diversità e le ragioni della sua esclusione. Per pareggiare i conti al mostro non resta altro da fare che ribellarsi, costruendo la sua versione aberrante e blasfema della società».
È quello che fa con il subvertising, la sovversione della pubblicità attraverso il suo stesso linguaggio grafico?
«Sì e che ora sto portando a compimento con il progetto
buyanewsoul.com: uno shop online accelerazionista — uso il termine nell’accezione di Nick Srnicek e Alex Williams – che vende souvenir e oggettistica con grafiche satiriche ispirate ai grandi marchi. Contemporaneamente, attraverso il sito stealthisposter.org, insieme al collettivo Special Patrol Group di Londra, coordino le campagne di
subvertising per i gruppi radicali che ne fanno richiesta.
L’ultima, nella notte dell’Immacolata, con la casa delle donne Lucha Y Siesta di Roma».
Le città si sono svuotate, gli spazi pubblici si sono trasformati, i mezzi di trasporto viaggiano a capienza ridotta, il dibattito su come saranno le città del futuro è cominciato. Qual è il ruolo della Street Art?
«La Street Art purtroppo non ha un orientamento politico, dimostrandosi spesso poco consapevole del contesto in cui opera, compiacente con le istituzioni, stupidamente normalizzante. Per me è molto diverso: penso all’arte come a un detonatore per innescare l’imprevedibile, far saltare automatismi, rimescolare possibilità, spazzare via ideologie incancrenite».
Nelle città di tutto il mondo sono comparse opere murali che riflettono la pandemia. Lei ha deciso di realizzare un trittico sull’uccisione dei visoni in Danimarca, ispirato all’opera di Filelfo. Perché?
«Attraverso stealthisposter.org raccolgo richieste di vari collettivi radicali, ma se ci sono delle basi ideologiche comuni nulla vieta che il contatto possa avvenire anche al di fuori di un collettivo politico. È quello che è successo quando ho sentito Filelfo, con il quale ho scambiato alcune riflessioni e di cui ho letto l’opera prima della sua pubblicazione. L’idea di sviluppare un intervento a partire da L’assemblea degli animali mi offriva un processo creativo del tutto inedito e di certo interessante, ma l’urgenza impellente di tirar fuori il mio punto di vista è arrivata solo successivamente, quando ho saputo dei visoni uccisi in Danimarca».
Come mai questa notizia l’ha colpita?
«Oltre che per la sua spietata assurdità, per due motivi. Il primo è l’evitabilità della situazione, perché gli abiti in pellicce animali non sono una necessità oggi, e si continuano a produrre solo perché il mercato trae profitto dal valore simbolico dei prodotti di consumo. Il secondo motivo riguarda invece quanto la vicenda sia emblematica per spiegare la matrice antropocentrica della genesi e del proliferarsi del virus. Siccome la nostra società produce narrative post veritiere come fossero caramelle e siccome non siamo in grado di trovare un terreno comune neanche su un piano basilare di realtà, credo sia molto importante raccontare questo secondo aspetto; e il libro di Filelfo ci riesce perfettamente».
Durante il primo lockdown ha realizzato “Il Bacio degli Acquedotti”, un’opera che ha attirato sia violente critiche, sia appassionate difese. Perché l’ha fatto?
«Il collasso sociale, oltre ad essere stato annunciato da attivisti per il clima, dalla comunità scientifica e dalla filosofia, è stato raccontato nella cultura pop attraverso libri, film, musica e fumetti… Così la sua attuazione nel reale con il primo lockdown, pur trasfigurando tutti i gesti della quotidianità verso un mondo ignoto e spaventoso, produceva una strana sensazione di déjà-vù.
Il Bacio degli Acquedotti, in cui la cisterna romana non è cornice ma parte integrante dell’opera, è questo sogno del futuro che si è già attuato. Fortunatamente, al di là della macchina del fango scatenatasi per nulla (il muro su cui ho dipinto è cemento di un’economia postfordista), l’operazione è stata compresa».
Da alcuni anni sostiene che la pubblicità andrebbe
bandita dagli spazi pubblici. Perché?
«Quando la messaggistica commerciale prende le strade compie un’invasione di campo antidemocratica: da un lato legittima chi ha i soldi a propagandare i suoi valori e dall’altro nega la parola a tutti quelli che non possono permettersi l’affitto dei cartelloni».
L’anonimato, oltre ai vantaggi legali, che significato ha per un artista?
«Dipende. Immagino che per musicisti pop come i Daft-Punk e Liberato potrebbe essere una trovata commerciale, oppure la base sulla quale costruire un immaginario coerente con la musica che suonano, che poi è la stessa cosa. Per il collettivo Wu-Ming è un omaggio a una tradizione di dissidenza. Per me è stato inizialmente un rifiuto dello spettacolo e del suo sistema di valori basato sull’apparire. Oggi che anche l’assenza è decodificata in una forma alternativa di presenza l’anonimato continua ad essere una metafora funzionale per raccontare l’ambiente prima dell’individuo. Non c’è arte senza ambiente».