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 2020  dicembre 11 Venerdì calendario

La creatrice di manichini

Le spalle che diventano progressivamente più evidenti, la vita che si allarga, i fianchi più o meno generosi a seconda del momento storico. Manichini e busti sartoriali scolpiscono, letteralmente, l’immagine della donna – e la sua evoluzione – nel corso del tempo. È questione di misure e proporzioni. Basta guardare indietro per rendersene conto. Abbiamo chiesto di farci da guida alla scoperta della moda dei manichini a Priscilla Contesini, 25 anni, direttrice artistica e quarta generazione alla guida di Mensura, tra le eccellenze nella mostra Romaison, che proseguirà fino a domenica con proiezioni di moda e costume su alcuni palazzi romani ma andrà avanti online nei prossimi mesi con podcast e conferenze.
Come è nata l’azienda?
«Intorno al 1920 gli zii di mio nonno hanno aperto a Milano uno dei primi laboratori di sculture per la vetrinistica. Mio nonno ha iniziato a lavorare come scultore presso di loro, poi è rientrato a Roma e qui, nel 1954, ha aperto l’azienda con mia nonna, che faceva la sarta. L’unione delle differenti conoscenze, tra scultura e sartoria, ha portato a una nuova visione di manichini e busti sartoriali».
Come venivano realizzati?
«Le signore andavano al laboratorio per farsi fare i calchi del corpo e avere busti con misure precise. I calchi consentivano anche di avere dettagli scultorei realistici nei manichini. Agli albori i manichini avevano occhi di vetro, erano sculture molto vicine all’iperrealismo. Nel laboratorio, c’erano artisti, pure Mario Ceroli. Dalla collaborazione tra mio nonno, Carlo Rambaldi e Ceroli nacque Tartalepre per Autostrade. Poi nell’azienda è entrato mio padre, di formazione architetto, sono nate le collaborazioni con griffe come Fendi, Versace, Valentino. E ora lavoro qui anche io, che vengo dal mondo dell’arte».
Oggi come è cambiata la lavorazione dei manichini?
«Il processo si è industrializzato molto. L’artigianalità è rimasta, di fatto, per i prototipi. Alcune cose, però, vengono realizzate ancora come un tempo».
Come i busti sartoriali?
«Sì, sono in cartapesta come nel 1700. È il materiale ideale: è spillabile, sostenibile, consente di fare una scocca rigida, si può restaurare pressoché per sempre. I busti si compongono con carta di giornale riciclata e cartoncino pressato, in strisce strappate a mano sovrapposte a comporre una trama. Tutto è fatto in uno stampo. Poi si lascia asciugare per giorni e si riveste in cotone. Oggi, nel mondo, siamo solo noi a realizzarli ancora così e un’azienda francese».
Nessuna innovazione?
«Mia nonna faceva i calchi per la modellazione, noi usiamo pure la tecnologia per realizzarli. Per Karl Lagerfeld abbiamo eseguito un busto, ancora su calco, di Naomi Campbell. Recentemente, per Fendi ne abbiamo fatto uno con scansione 3d del corpo di una modella. Ciò permette di lavorare anche sulla fisionomia, caratteristica che, negli anni, si è andata perdendo. Un tempo, i busti erano diversi per haute couture e pret-à-porter, i primi più legati a forme ideali, i secondi a un fisico giovane. Oggi, stiamo studiando le morfologie delle diverse etnie, in particolare africane, per una nuova modellistica sempre più puntuale».
Manichini e busti raccontano l’evoluzione del corpo?
«Sì, il corpo femminile, negli ultimi decenni, è mutato molto e i manichini rendono tali trasformazioni evidenti. L’avvento della palestra ha cambiato il corpo della donna. Anche la moda lo ha fatto. A inizi Novecento, i manichini avevano una sorta di pancetta. Negli anni Cinquanta, le spalle erano grandi e il corpo esile. Negli anni Settanta il busto si è allargato».
E i manichini di oggi?
«Oggi le spalle sono più alte, la distanza tra queste e la vita si è allungata, e quest’ultima è più larga. La trasformazione del corpo è avvenuta anche con i vestiti: già usare per lungo tempo i pantaloni a vita bassa o a vita alta modifica le forme. La vita bassa costringe i fianchi, quella alta li fa più morbidi. E così via. Non è il fisico a determinare l’abito, ma l’abito a disegnare il fisico».
Come vede il futuro del settore?
«C’è difficoltà per il ricambio generazionale, è un lavoro che richiede una grande manualità. Saper cucire, ora, è qualcosa di elitario rispetto al passato. Oggi, però, vedo la voglia di tornare all’artigianalità. Nel settore, virtuale e reale dialogheranno sempre più. Ciò che farà la differenza sarà la capacità di raccontare il lavoro artigiano. Bisogna mostrare il dietro le quinte delle creazioni, digitalizzare gli archivi, riscoprire la creatività».